Manca un mese alle elezioni. Ecco le dieci parole che marcheranno la campagna elettorale.
Agenda draghi Morto (politicamente) Draghi, viva (Draghi). Era questo il refrain con il quale si è aperta la strada verso le elezioni. Poi piano piano sono iniziati distinguo, a partire da Berlusconi, e ogni partito ha progressivamente ripreso possesso della propria identità. Ad eccezione del Terzo polo, che si richiama esplicitamente all’esperienza del governo ancora in carica. I draghiani puntano al pareggio, il centrodestra che pensa di avere la vittoria in pugno mira più in alto, il Pd a un nuovo governo Draghi ci farebbe la firma ma non può dirlo. Il piano di riforme messe a punto da Draghi restano comunque il canovaccio per chiunque entrerà a palazzo Chigi.
Donne Il tema donne ha dominato l’attenzione - più degli addetti ai lavori che della gente normale - di questi primi giorni di campagna elettorale. Specie a sinistra, dove non riescono a darsi pace del fatto che una esponente di destra potrebbe essere la prima donna a diventare premier. Le femministe storiche vivono tutto queste come una sorta di affronto. Dimenticando però che nel resto d’Europa, specie quella continentale, le posizioni di leadership sono sempre state conquistate da donne provenienti da partiti di centrodestra, da Marine Le Pen, Angela Merkel, Ursula von der Leyen, Theresa May, Roberta Metsola. Può essere un caso, o la narrazione del femminismo storico di sinistra ha sbagliato qualcosa? Un bel dilemma.
Fascismo La testa dei sondaggi occupata da un partito proveniente dalla tradizione della destra, il «rischio» di un premier che da bambina riteneva Mussolini «un politico che ha fatto anche cose buone», il centenario della Marcia su Roma. Il tema "fascismo" torna a occupare le prime pagine dei giornali, ed è usato dalla sinistra per esorcizzare una sconfitta possibile. Giorgia Meloni ha abilmente driblato per adesso ogni accostamento, la sinistra non è riuscita invece a trattenersi. Non riuscendo a capire però che alla gran parte delle persone interessano i problemi reali e le soluzioni che si prospettano piuttosto che la rievocazione storica di schemi novecenteschi. Fratelli d’Italia (e prima An) governano a vari livelli da oltre vent’anni, lo spauracchio mussoliniano non funziona.
Giorgia Giriamola come ci pare, ma la vincitrice annunciata di queste elezioni è lei, Giorgia Meloni. Se invece che in campagna elettorale fossimo all’ippodromo, diremmo che è il cavallo da battere, quello su cui le quote sono più basse. A volte il cavallo da battere vince, a volte non vince. La strada tra i sondaggi favorevoli e palazzo Chigi è molto irta, e molto incerta. Per adesso gli ostacoli più pericolosi, dall’accordo interno alla sua coalizione ai possibili inciampi nella formazione delle liste, sono stati evitati o ridotti al minimo, ma la corsa è ancora lunga. La Meloni ha impostato molto nel duello con Letta, che le garantisce la visibilità di una corsa a due, e Letta ha accettato silenziosamente l’accordo, che conviene anche a lui.
Giovani Per la prima volta anche i diciottenni voteranno per il Senato, grazie all’ultima modifica della Costituzione. Non è cosa da poco. Ma il «focus giovani» non può esaurirsi qui, e i partiti sono adesso chiamati a riempire di contenuti un tema che in genere relegano agli slogan. Nel mondo che cambia vorticosamente, con i lavori che si fanno sempre più precari, i giovani sono diventati una parte della società da tutelare. Tutti ne parlano, ma poco si è visto. Il Pd pare un po’ più avanti, e Letta intende farne un suo cavallo di battaglia. Ma per adesso oltre le intenzioni si è visto poco.
Indecisi Al momento gli elettori che non hanno ancora deciso per chi votare sono circa il 40 per cento. Moltissimi. Accade così da molto tempo, si dirà, e in parte è vero. Stavolta però la volatilità del voto sembra accentuata. Nel 2018 il 33 per cento ai grillini assorbì molto di quel tipo consenso, più liquido, quattro anni dopo non sembrano essere presenti sulla scena attori in grado di raccontare una storia capace di strappare l’applauso finale a un pubblico distratto. Per cui l’imprevisto, o l’imprevedibile, potrebbe assumere un carattere e un’importanza mai vista prima.
Programmi In genere dei programmi dei partiti non interessa niente a nessuno, e nessuno ci fa caso. Stavolta è opportuno però darci un’occhiata. Per sperare che quanto scritto non venga attuato. Dalle promesse sulle tasse, alle pensioni, al ruolo internazionale di un un paese che alcuni vogliono fuori dalle tradizionali alleanze. Cioè da augurarsi che come al solito predichino male e razzolino meglio.
Putin La Russia, o l’Ucraina, o la Nato terranno banco di qui al 25 settembre. Quasi tutti i partiti hanno scheletri nell’armadio rispetto al tema, ma la questione è troppo fresca per restare ai margini. Il più a posto è il Pd, ma l’alleanza con un partito (Sinistra Italiana) che ha votato contro l’adesione alla Nato di Svezia e Finlandia, rende la questione scivolosa anche per Letta. Tutti hanno comunque qualche foto da nascondere, e non solo Salvini sulla piazza Rossa.
Social La guerra social sarà il fronte avanzato della campagna. Con sempre nuovi strumenti. Usati per difendersi e attaccare, e non saranno solo uno strumento neutrale. Basti pensare alla storia del video sullo stupro di Piacenza, messo dalla Meloni sui suoi social. Ha colpito più quello di mille comizi o comparsate tv.
Terzo polo La "scommessa" del Terzo polo, come si è autoproclamato con un certo sprezzo del pericolo (al momento nei sondaggi è quarto) è la vera novità politica di queste elezioni. Il duo Calenda-Renzi appare una forzatura più che altro per i risvolti caratteriali dei leader, in realtà i programmi di Azione e di Italia viva sono molto più affini di quelli di centrodestra e centrosinistra, dove albergano partiti che in Europa, tanto per fare un esempio, siedono su fronti opposti, come stanno divisi tra governo e opposizione e sulla guerra all’Ucraina. Ma non è detto che tutto basti a farli decollare. Per non apparire che la lista non si si risolva in una operazione di autoconservazione di ceto politico, occorre un balzo in avanti. La soglia minima per la sopravvivenza politica (quella «tecnica» è il 3 per cento) non può attestarsi sotto il 7/8 per cento.