"Io sono sempre ottimista, mi ha portato fin qui". Lasciando la Camera dopo un’altra estenuante giornata di trattativa, Giorgia Meloni tiene botta. Ma la strada è in salita e quello che non dice la premier in pectore, filtra da via della Scrofa: "Ci vorrà tempo per sciogliere i nodi, sarà lunga e complicata". È l’eterna croce di ogni governo in formazione: mettere a posto le caselle in modo da accontentare tutti. Stavolta però c’è un handicap in più: tra i ’tutti’ da accontentare non ci sono solo le forze di maggioranza, ma anche le istituzioni italiane e le centrali europee che tengono il governo della ’sovranista’ sotto stretta osservazione, e per capire con chi avranno a che fare si baseranno prima di tutto sulla lista dei ministri. Quello degli Esteri, per esempio: postazione delicata. Nel pieno di una crisi internazionale come non se ne vedevano dal 1945. Si sa che Giorgia avrebbe preferito evitare che alla Farnesina arrivasse un forzista (molto meglio un tecnico, come, per dire, Elisabetta Belloni), soprattutto dopo le ultime uscite di Berlusconi qualche dubbio a Bruxelles circola. Ma Silvio si impunta, vuole Antonio Tajani agli Esteri o alla Difesa.
Se non è zuppa, è pan bagnato: anche il ministero da cui dipendono le forze armate presenta gli stessi problemi. Oggetto peraltro delle mire di Ignazio La Russa (in lizza anche per l’incarico di sottosegretario alla Presidenza, in alternativa a Giovanbattista Fazzolari), mentre Guido Crosetto – che per ogni evenienza ha liquidato la sua società – potrebbe finire al Mise. Poi c’è l’Economia: la casella centrale è quella. Palazzo Chigi ieri ha smentito l’esistenza di un patto con Draghi; in realtà, Giorgia e Super Mario si sono sentiti più dì una volta e di un patto esplicito non c’è bisogno. Le condizioni che avrebbe posto il premier per mettere una parola a favore dell’esecutivo che verrà sono ovvie: appoggio all’Ucraina, Nato e fin qui nessun problema, ma anche garanzia sui conti pubblici. Lì la situazione è più delicata ci vuole qualcuno che faccia da garante ma Fabio Panetta, che sarebbe stato l’ideale, ha nuovamente certificato la sua indisponibilità.
Così prende quota l’ipotesi dello spacchettamento. Alle Finanze Maurizio Leo, mentre per il Tesoro di nomi ne circolano tanti: ad esempio quello dell’ex ministro Domenico Siniscalco, ma a dimostrare quanto la faccenda sia in alto mare basta il fatto che gira ancora persino il nome di Daniele Franco. E sarebbe un paradosso se un governo guidato dalla sola leader che si opponeva a Draghi si tenesse il più importante dei suoi ministri. C’è chi dice che il dicastero della Transizione ecologica verrà smantellato, e chi vede al Welfare Giancarlo Giorgetti o Luca Ricolfi, e Giulia Bongiorno alla Giustizia.
Intorno ai due ministeri meno nevralgici per le cancellerie del mondo ma centralissimi per gli italiani, Sanità e Istruzione, ballano tre ’ladies’: l’ipotesi principale sarebbe Letizia Moratti alla Salute e Licia Ronzulli all’Istruzione, ma l’assessora lombarda recalcitra, nei suoi sogni c’è la presidenza della Lombardia. Se dovesse sfilarsi, l’avvicendamento potrebbe portare Licia alla Salute e Anna Maria Bernini all’Istruzione. Sul tavolo resta la proposta di due vicepremier (congelata quella di dare la presidenza della Camera al Pd) per il resto, i nomi del bussolotto sono quelli noti: Adolfo Urso, Daniela Santanchè, Edoardo Rixi, Raffaele Fitto, Gian Marco Centinaio, Roberto Calderoli (se non avrà la guida del Senato).
Il fatto che siano chiacchierati oggi, non significa che saranno ministri domani. Con molte settimane di anticipo sulla formazione del governo, il toto ministri per ora è un gioco. Di certo c’è solo che il problema numero uno per Giorgia Meloni ha un nome e cognome: Matteo Salvini.