Roma, 30 luglio 2022 - "Lo Stato non deve disturbare chi vuole fare, chi lavora e chi produce, ma deve favorire chi crea lavoro, in base al principio del 'più assumi e meno tasse paghi'". Giorgia Meloni punta al cuore manifatturiero e terziario del Paese e concede solo una considerazione allo scontro politico: "Chi si aspettava un centro-destra diviso e litigioso, è rimasto deluso. Come lo sarà chi si attende che polemizzeremo tra noi o che scenderemo in una campagna elettorale di lotta nel fango come sta tentando di fare la sinistra". La leader di Fratelli d’Italia, la candidata premier potenziale, avvisa che "non do per vinte le elezioni perché le battaglie sono abituata a combatterle prima di darle per vinte e l’entusiasmo che vedo da parte di alcuni mi fa un po’ sorridere: io voglio concentrami su che cosa posso tentare di fare per risollevare il Paese, senza promesse irrealizzabili".
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L’Italia cresce, ma l’inflazione morde e la recessione non è scongiurata. Come muoversi in questo contesto?
"Andiamo verso una stagione che, al di là dei dati che vengono sbandierati, sarà molto meno favorevole di quello che ci raccontano. La ragione per la quale noi ci troviamo in una situazione molto complessa che ci potrebbe portare in recessione o comunque in seria difficoltà è che pandemia, guerra, inflazione, crisi energetica e dell’approvvigionamento si innestano in un contesto dominato dagli effetti negativi della globalizzazione".
Dove ha fallito la globalizzazione?
"Ci hanno detto che la globalizzazione senza regole avrebbe fisiologicamente fatto aumentare la ricchezza per tutti e avrebbe democratizzato i sistemi autoritari e invece è avvenuto il contrario. La ricchezza si è polarizzata e concentrata verso l’alto, i regimi e le autocrazie hanno guadagnato campo nel mondo. Bisognerà, dunque, prendere contromisure rispetto a queste tendenze e alle scelte fatte da una Unione europea che non si è posta il problema di essere autosufficiente rispetto a catene di approvvigionamento vitali e a produzioni strategiche. Questo non significa voler essere autarchici ma significa cercare di essere padroni del proprio destino e non in balia degli eventi".
Che cosa vuol dire in concreto?
"Che l’Italia e l’Europa devono stabilire quali sono le produzioni irrinunciabili e vitali e organizzare filiere nazionali, e, laddove non è possibile, affidarsi a filiere europee e dove non si può fare neanche questo si deve lavorare con i Paesi alleati e con quelli vicini. Vale per il gas, per i chip, per le produzioni farmaceutiche e per l’automotive o per l’elettrico. Perché non è certo una via intelligente passare dalla dipendenza dalla Russia a quella dalla Cina".
Veniamo all’Italia e ai suoi possibili primi provvedimenti. Da che cosa partirebbe?
"Il punto primo è quello di sostenere l’economia reale, il lavoro e chi crea ricchezza e vuole assumere, innanzitutto togliendo vincoli, lacci e lacciuoli che non sono necessari e utili. Faccio il caso del tetto al contante: è una misura che non serve a combattere l’evasione e che, anzi, ci crea una concorrenza sleale, perché in Germania e in Austria non c’è. Dunque, dobbiamo avere poche regole, rigorose e chiare. E non disturbare chi lavora, perché uno Stato giusto capisce che la ricchezza la creano le imprese e i lavoratori e non i decreti".
Un nodo, però, è quello dei salari falcidiati dall’inflazione insieme con il lavoro «povero».
"Se vuoi garantire un salario minimo, un salario dignitoso, non serve una riga di decreto ma una misura che riduca il costo del lavoro prevalentemente lato lavoratore, come perfino Confindustria è arrivata a chiedere. Dunque, si tratta di tagliare il cuneo fiscale come è stato tante volte evocato, senza che sia stato fatto. Questo fa aumentare i soldi in busta paga e fa recuperare potere d’acquisto. Ma non basta: dobbiamo favorire le nuove assunzioni strutturalmente".
Come?
"Un’altra misura che abbiamo allo studio è quella del “più assumi meno paghi”. In pratica, più è alta l’incidenza dei dipendenti in rapporto al fatturato meno tasse paghi. E si può fare sia con la super-deduzione del costo del lavoro sia con la riduzione dell’Ires. Il che non vuol dire colpire le imprese ad alta tecnologia, ma incentivare il lavoro".
L’Italia rimane anche un Paese dove la povertà è aumentata. Il Reddito di cittadinanza non vi piace: con che cosa lo volete sostituire?
"Certo. L’Italia è un Paese dove diminuiscono i diritti e aumentano le persone in difficoltà. Ma la soluzione non è quella del Reddito di cittadinanza: una misura stupida, controproducente e diseducativa, che disincentiva al lavoro. Lo sa che in Italia un giovane di venti anni in ottima salute può prendere 780 euro di reddito e un disabile prende una pensione di invalidità di 270 euro? Uno Stato giusto non mette sullo stesso piano chi può lavorare e chi non può farlo".
Come se ne esce?
"Il reddito di cittadinanza come è attualmente deve essere abolito e quello che serve è creare lavoro per chi può lavorare mentre per chi si trova in condizioni di non poterlo fare servono strumenti anche rafforzati di sostegno vero. Abbiamo pensato a una misura specifica per chi, over 60, si trova senza pensione e senza lavoro e per chi è senza reddito e ha a carico figli minori o disabili. Ma ipotizziamo anche una riforma degli ammortizzatori sociali che preveda anche per il lavoratore autonomo un sostegno al reddito in caso di cessazione dell’attività in linea con la Naspi. Come vede, parliamo di misure tutte realizzabili, non di promesse roboanti e immaginifiche".