Roma, 10 giugno 2024 – “Un risultato per noi straordinario, siamo il partito che cresce di più dalle politiche, la distanza da FdI si restringe. Sentiamo ancora più forte la responsabilità di costruire l’alternativa. La somma delle forze di opposizione supera quella della maggioranza". La leadership di Schlein, che si è presentata al Nazareno con la chitarra, è per il momento salva e si rafforza, con questo risultato, ma il Pd da solo non è in grado di rappresentare l’alternativa alla coalizione di destra-centro. Certamente non serviva la conferma di queste Europee per sapere che il centrosinistra ha bisogno di una robusta coalizione tra Pd, M5s e Alleanza Verdi Sinistra. A Schlein però serviva l’assicurazione di poter andare avanti alla guida di un partito in cui il dibattito pubblico, dalle elezioni primarie del 2023 in avanti, è stato pressoché azzerato.
Il silenzio elettorale che dura da oltre un anno è tra le conquiste principali della leadership di Schlein. Fare il segretario del Pd è d’altronde un mestiere usurante, ma a differenza del passato le opposizioni interne hanno ridotto fortemente la discussione critica nei confronti della leader di turno. Certamente, alcune posizioni della segretaria hanno fatto discutere (come quella, ancorché coerente, sul Jobs Act) e rimane sempre la forte impressione che sarà la politica estera il punto di rottura dell’armonia nel Pd, come testimoniano i flebili malumori per le candidature pacifiste decise dalla Schlein alle Europee. La strategia della segretaria è stata semplice: nella composizione delle liste, ha cercato di replicare il modello delle primarie di un anno fa, quando a sceglierla furono elettori che avevano smesso di votare per il Pd o che non avevano mai votato per il Pd.
Il tentativo di allargare il bacino classico dell’elettorato di centrosinistra attraverso il corso ai delusi o agli “ex voto”, come li chiama Ilvo Diamanti, era stato già appannaggio di Matteo Renzi alla guida del Pd; solo che Renzi guardava al centro e al centrodestra, qui Schlein cerca di recuperare il rapporto con un popolo di sinistra che nel frattempo si è perso per strada. I ballottaggi nelle città completeranno il quadro: nel Pd è in corso un ricambio para-generazionale, diciamo politico, all’interno dei gruppi dirigenti delle città. Alcuni sindaci hanno finito il loro ciclo amministrativo e si sono candidati alle Europee perché non di sola società civile può campare il Pd.
Ma il voto europeo che si è appena concluso è solo un pezzo di un percorso più elaborato (e anche accidentato, stando ai tassi di partecipazione elettorale sempre più bassi, segno fra le altre cose di rassegnazione verso istituzioni incapaci di risolvere, per esempio, le condizioni socio-economiche della popolazione). Anzitutto, l’Europarlamento dovrà scegliere il prossimo presidente della Commissione. Per tutta la campagna elettorale i “mai più con” o “mai con” si sono affastellati sulla bocca dei leader politici. Schlein compresa. Ma era e rimane un bluff.
Serviranno accordi per eleggere il presidente o la presidente della Commissione Europea e giova ricordare che cinque anni fa l’attuale presidente e candidata di punta del PPE Ursula von der Leyen, che fin qui ha guidato la coalizione fra Popolari e Socialisti, fu votata anche dai parlamentari del M5S. I partiti, Pd compreso, dovranno guardare agli interessi delle famiglie europee anziché concentrarsi sul proprio particulare nazionale. D’altronde, per quello c’è già stata la (brutta) campagna elettorale.