Roma, 12 giugno 2024 - I popolari scoprono le carte e candidano Ursula von der Leyen e Roberta Metsola per i vertici Ue. Ma sono gli unici a farlo. Per gli altri continua il gioco di veti e aperture verso la destra. Giovanni Orsina, direttore della School of Government della Luiss, ci aiuta a interpretare il quadro, partendo da un punto fermo: "Non esiste una trattativa senza l’Italia. Che Giorgia Meloni partecipi al negoziato nel Consiglio europeo è fuori discussione. È il presidente del Consiglio italiano, e si presenta con grande forza politica".
Il cancelliere Scholz mette il veto a ogni accordo con i conservatori. Si può impedire a un gruppo di votare il presidente indicato dal Consiglio?
"Ovviamente no. Teoricamente, liberali e socialisti potrebbero dire al presidente designato che lo voteranno solo se in qualche forma fa una dichiarazione di ostilità ai conservatori. Meloni potrebbe comunque dare il suo voto, ma sarebbe una sconfitta. Però è un atto che richiede forza e, per il momento, i punti di riferimento di liberali e socialisti, Macron e Scholz, sono molto deboli. L’iniziativa è nelle mani dei popolari. Saranno loro a decidere se fa comodo avere dentro Meloni che li copre a destra".
La premier ha detto spesso che voterà il presidente ma non entrerà in maggioranza. Qual è la differenza?
"Nel Parlamento europeo non c’è una maggioranza, non si vota la fiducia a un governo. C’è un solo voto sul presidente della Commissione indicato dal Consiglio, che è un voto a maggioranza. Poi ci sono innumerevoli voti, nei quali si formano le maggioranze più diverse. Ne sono state contate sette".
Sulla carta la maggioranza Ursula non avrebbe bisogno di aiuti. Ha una quarantina di voti di margine.
"Bisogna capire se questo margine tiene: storicamente, in questi voti ci sono molti franchi tiratori. Nel 2019 von der Leyen aveva una maggioranza ancora più ampia, ma è passata per il rotto della cuffia grazie al sostegno del Pis polacco e del M5s".
Tra gli 11 capi di governo che vanta il Ppe nessuno guida i quattro Paesi principali: Francia, Germania, Italia e Spagna. Meloni, che ha come vicepremier il popolare Tajani, ha una carta in più da giocare?
"Sì. È chiaro che il tema dell’assenza di un vertice dell’esecutivo nei grandi Paesi della Ue è un problema per il Ppe e l’attenzione verso Meloni è legata anche a questo dato".
Ins omma, la trattativa si svolgerà nel Consiglio a partire dalla prossima riunione.
"Domani inizia il G7 a Borgo Egnazia. Ci saranno Macron e Scholz: è presumibile che ci sia un pre-dialogo già in Puglia".
Il veto contro AfD pare invalicabile. È altrettanto ferreo nei confronti di Marine Le Pen? C’è una differenza tra lei e Giorgia Meloni per le Cancellerie europee?
"Ci sono differenze marcate: la più pesante è sulla politica estera. Meloni ha preso subito una posizione filo-Ucraina ed è fortemente atlantista. Le Pen è stata più ambigua. E proprio l’atteggiamento verso Russia e Nato è l’elemento che spinge un pezzo di Ppe ad accettare Meloni. Dopo di che, se i Repubblicani francesi, che appartengono al Ppe, dovessero allearsi con Le Pen, mantenere la linea rossa attuale diverrebbe più complicato".
Qualcuno vagheggia un gruppo unico delle destre in Europa. Può interessare a Meloni?
"Ad oggi lei non ha interesse a fare un gruppo con Le Pen. Certo, se Le Pen dovesse andare al governo dopo il voto di inizio luglio, il discorso cambierebbe".
La palla è in mano al Ppe, partito più forte in Parlamento e nel Consiglio. Come deciderà di affrontare il nodo rappresentato dall’esplosione della destra?
"Il Ppe può guardare ai conservatori o ai verdi. Una delle ragioni dell’esplosione della destra in Europa, però, è l’ostilità degli elettori al Green deal. A lume di logica, il Ppe avrebbe tutto l’interesse a coprirsi a destra. Poi, la politica europea è fatta anche di esclusioni: i tanti attacchi su Meloni per le sue origini politiche hanno contribuito a costruire in Europa un’immagine negativa della premier che, in questi mesi di governo, si è modificata molto, ma non del tutto".