Ha fatto bene Letta a polarizzare? La risposta è sì. Può non piacere il contrasto tra il rosso e il nero delle card elettorali, peraltro subito diventate virali, può infastidire la contrapposizione secca tra parole e concetti (troppo semplice e asciutta per i tanti osservatori con la puzza sotto il naso), può far storcere la bocca l’attacco diretto all’unica donna leader della competizione, ma tra la visione politica che propone il Partito democratico e quella di Giorgia Meloni c’è una distanza siderale. E sia chiaro, non si tratta della battaglia tra fascismo e anti-fascismo; è ridicolo pensare che la “sorella d’Italia” trasformi noi e i nostri figli in piccoli e grandi balilla, pronti al passo dell’oca. La politica delle emozioni eccita gli animi nell’istante in cui la si usa, ma poi lascia ben pochi strascichi sulla vita reale delle persone.
Semmai il contrasto tra Letta e Meloni, molto pratico e pieno di ripercussioni, è tra le proposte economiche, quelle sociali, sino al rapporto con la scienza e a quello con l’Europa. Da un lato la flat tax, che, se realizzata sia al 15% che al 23%, sia intera che per fasi, avrebbe almeno due conseguenze oggettive: destabilizzerebbe i conti pubblici, pesando per circa 30 miliardi all’anno a beneficio solo di una parte di popolazione (la più ricca) e ridurrebbe al lumicino la spesa sociale e sanitaria come dimostrano i paesi in cui è stata sperimentata. Andrebbe dunque a diretto discapito delle fasce più deboli. Quelle di cui Salvini dice di volersi occupare in via prioritaria, chiedendone anche la protezione al Cuore immacolato di Maria. A questa idea minimale di welfare, che è l’altra faccia della tassa piatta, fa da complemento l’abolizione del reddito di cittadinanza proposta da Meloni, che certo va rivisto, ma che esiste in qualsiasi paese europeo e che assicura una scialuppa di salvataggio a chi non ha né reddito né ammortizzatori sociali. D’altro canto, se non lavorano i poveri non devono mangiare, si diceva nell’Inghilterra vittoriana dell’Ottocento, e a Meloni i salti all’indietro non spaventano di certo. Sullo sfondo, un sospetto diffuso verso le teorie scientifiche in materia di sanità e la conseguente accondiscendenza verso chi alimenta ipotesi anti-scientifiche e pregiudizi non dimostrati, come si è visto nel caso dei vaccini. Infine, l’Europa, sperabilmente da spolpare e svuotare di competenze per riportarle tutte giù, dentro ai confini rassicuranti dello stato-nazione dove si auspica vi siano solo Italiani doc.
Dall’altro lato, le proposte economiche e fiscali non mettono in discussione il principio della progressività, secondo cui i cittadini devono contribuire a seconda delle proprie possibilità e si punta sugli investimenti sociali per promuovere la coesione sociale e territoriale. Si è convinti che qualche strumento di ultima istanza ci debba essere per chi rischia davvero la sussistenza e si guarda con fiducia alla scienza, anche se i suoi dettami impongono sacrifici e limiti ai cittadini in nome di un interesse più grande. Ci si colloca poi saldamente in Europa per la regolazione di politiche e sfide che si ritengono sempre più interdipendenti. Si immagina una società che offre opportunità a tutti senza distinzioni tra orientamento sessuale, genere o etnia. Pur con tutte le differenze tra le forze politiche appartenenti alla coalizione guidata da Letta questi principi risultano condivisi e irrinunciabili.
In poche parole, la contrapposizione è tra conservatorismo e fiducia nel futuro, o meglio, tra chi con la politica gioca in difesa, proteggendo il fortino e difendendo quello che c’è e quelli che ci sono, e chi gioca in attacco senza paura di stravolgere schemi e soluzioni preconfezionate per raggiungere risultati migliori. Una bella differenza, da far capire bene agli Italiani. Anche col rosso e il nero.
di Elisabetta Gualmini, europarlamentare del Pd