Un filo rosso lega 4 leader destinate a influenzare gli equilibri della nuova Europa. A modo loro sono state tutte diversamente underdog. La ex sfavorita primaria, “chiamatemi Giorgia”, quella “del popolo” che ha portato il suo partito dal 3,7 al 28,8%, è uscita così forte dalle urne, ed è stata percepita tanto univocamente atlantista, da essere considerata nei corridoi di Bruxelles la prima “responsabile” con cui trattare per una maggioranza variabile a partire dal nucleo ormai consolidato di popolari, socialisti e liberali. Incredibile, se si pensa che Meloni ha sempre rifiutato ogni esperimento di governi compromissori, basti ricordare l’opposizione in solitaria a Mario Draghi.
Forse la signora della destra, in Italia, e guida in Europa dei conservatori ispirati dai Tory britannici di un tempo che fu, non darà direttamente le carte della nuova Commissione. Ma il suo patto non scritto con Ursula von der Leyen – Realpolitik in purezza costruita tra Lampedusa, Tunisia, Ucraina e persino l’Emilia-Romagna degli alluvionati – regge proprio nel momento in cui la presidente della Commissione, già data per sconfitta da molti, è invece in rampa di lancio per il bis. Debole? Prima che i popolari non aumentassero i seggi (186 su 720) o prima che Macron non ammettesse la sconfitta in Francia, trascinando giù con sé anche le chance di Draghi da lui sponsorizzato per la Commissione o il Consiglio. Legittimo però chiedersi come von der Leyen reggerebbe il timone dato che, a forza di mediare, si è rimangiata l’impianto originario del Green Deal e idealizza la Difesa comune senza sapere come mettere d’accordo gli Stati sull’uso delle armi contro la Russia. Rispetto a uno dei padri fondatori Ue, Konrad Adenauer, il cancelliere tedesco promotore dell’ingresso nella Nato, la sua conterranea non sembra capace di decisioni granitiche mentre la guerra di Putin preme ai confini comunitari.
E cosa dire di Elly Schlein? Anche la leader del Pd, che più sta sfumando quel che resta del riformismo, senza tuttavia aver consolidato il campo largo, veniva da mesi di affanno ed era data per perdente. Eppure le urne le hanno restituito un risultato ottimo. Da underdog nel suo partito correntizio, esternamente può vantare invece di essere la prima leader, per consensi, nel gruppo dei socialdemocratici. E sarà interessante osservare lo scontro in salsa bruxellese del bipolarismo Giorgia-Elly. L’ultima, convitata di pietra (solo per ora) ma destinata a incidere, è Marine Le Pen. Se il suo gruppo, ID, non è tra quelli con cui l’eventuale Commissione Ursula bis potrà facilmente trattare, la “rieccola“ della destra francese ha la strada spianata per l’Eliseo dopo anni di sconfitte (ai ballottaggi). Nessuno più della figlia del nero Jean-Marie ha dovuto combattere per essere accettata (mai dal padre, comunque). Ma alzi la mano chi crede che la Francia, unica potenza nucleare nella Ue, non sia tuttora fulcro d’Europa. Meloni e Le Pen nelle settimane prima del voto si sono avvicinate. E qui il filo rosso di 4 donne, leader in verità tutt’altro che underdog, chiude un cerchio dentro al quale ci sta anche il nostro futuro.