Roma, 10 giugno 2024 – Molto bene Fratelli d’Italia, molto bene il Pd, molto bene Avs, bene Forza Italia, non benissimo la Lega, male Stati Uniti d’Europa, male Calenda, molto male i Cinquestelle. Male soprattutto l’Europa, non solo nel senso di Unione europea, che nel mezzo di due guerre, una delle quali nel cuore del suo territorio e che sostiene per interposto esercito, vede le leadership dei suoi grandi paesi, Italia a parte, uscire molto indebolite dal voto.
C’è da scommettere che ieri sera al Cremlino non fossero per niente scontenti e non ci sarebbe da restare stupiti nell’apprendere che Putin avesse brindato con un po’ di vodka, o magari con il Lambrusco di Berlusconi: Macron è battuto dal rivale Bardella e convoca le elezioni legislative, il tedesco Scholz è in crisi, anche in Spagna il socialista Sanchez è sopravanzato dai popolari e in generale i partiti contrari alla guerra in Ucraina e alla solidarietà europea hanno ottenuto dovunque buoni risultati. Ora lo zar può solo sperare nella vittoria di Trump a novembre e allora avrà fatto bingo. E’ questo il dato politico che esce dal voto di ieri, il dato "vero", al di là dei calcoli inevitabili ma dal sapore un po’ politicista sui seggi che potrà prendere un’alleanza o un’altra (Ursula si/Ursula no). Destra e sinistra appaiono sempre più categorie novecentesche destinate a essere superate dall’incalzare degli eventi, che in questo caso sono la guerra e i lunghi e complessi postumi della globalizzazione, di cui il sovranismo è figlio illegittimo. E’ la realtà a definire l’agenda politica, non le ideologie, al massimo sopravvivono le idee.
Stando alle proiezioni delle due di notte, dall’Italia non emerge alcuno scossone di eccessivo rilievo sugli equilibri interni e internazionali, contrariamente a quanto era accaduto negli ultimi due turni europei (chi si ricorda del 41 di Renzi e del 34 di Salvini?). La premier Giorgia Meloni è l’unica tra i leader dei Paesi big ad aumentare il risultato rispetto all’ultimo voto politico e in generale i partiti del centrodestra crescono anche se di poco. Cresce pure il Pd, non poco, considerando il 19 per cento delle politiche di venti mesi fa e il 22,7 delle ultime europee, quando però il quadro politico era radicalmente diverso, e al Pd facevano riferimento forze che adesso le sono antagoniste (la componente renziana, i calendiani). La leadership di Elly Schlein esce rafforzata.
A un esame superficiale, l’unico consentito dalle prime proiezioni, pare che il meccanismo mediatico del confronto tra le due leader abbia portato linfa a entrambe, come era peraltro nelle loro previsioni e nei loro desideri. Anzi, il voto pare riportare l’Italia allo schema bipolare nato con la seconda repubblica e messa da parte con l’esplosione dei grillini. La Schlein può guidare un Pd probabilmente più pacificato (per quanto possa essere pacificato il Pd) e mettere nel mirino un obiettivo forse più impegnativo delle attuali europee, ossia le regionali del prossimo anno quando vanno al voto le regioni dove il Pd ancora governa, e il cui esito è dovunque tutt’altro che scontato. Ricordiamo che tra le altre si vota in Toscana ed Emilia-Romagna, e la sconfitta anche in una sola delle due ultime regioni rosse rimetterebbe in gioco tutti gli equilibri interni al Nazareno.
Dal faccia a faccia tra le due leader escono invece stritolati in diversi, in particolare il Movimento Cinquestelle, che viene fortemente ridimensionato. Non dimentichiamo che alle politiche del ’22 i Cinquestelle misero a segno un formidabile recupero nelle ultime settimane quando l’attenzione si appuntò sul reddito di cittadinanza. Adesso il reddito è stato abolito, il sud ha disertato le urne e non c’è da stupirsi che Conte sia crollato. Escono male anche i centristi, sia Calenda che certamente non raggiunge la soglia del 4, sia Stati uniti d’Europa, che paiono anche loro essere poco sotto la soglia, e con un risultato finale che è inferiore alle attese. Ricordiamo che nel ’22 Emma Bonino prese quasi il 3 per cento, e Italia viva fino a qualche settimana fa si attestava intorno al 2,5/3 per cento. Se poi il risultato si confronta con il dato del Terzo polo ottenuto venti mesi fa (quasi l’8) si ha l’idea del capitale politico che in pochi mesi le risse tra i molti galli hanno gettato al vento e che adesso sarà sempre più difficile riacchiappare.
Tengono chi più chi meno gli altri partiti di governo, al di là che derby tra Forza Italia e Lega, i cui esiti saranno valutabili solo con i risultati finali, anche rispetto alle preferenze. Ci riferiamo in particolare a Vannacci, e al dato che avrà ottenuto il generale, che potrà fornire un’indicazione sul tipo di processo che potrà scatenarsi all’interno del Carroccio. Bene anche la sinistra verde-arcobaleno, che si avvantaggia della visibilità ottenuta con il caso Salis e con le tematiche riguardanti le due guerre (non ci scordiamo Gaza).
Ed è qui il vero punto politico, lo dicevamo sopra, di queste elezioni: al di là della complessiva tenuta del Ppe in Europa, non vanno male, in Italia e all’estero quelle formazioni che si oppongono all’invio di armi all’Ucraina (non male per esempio Santoro, che va ben oltre il due con una lista messa in piedi all’ultimo). Macron è da sempre il più solido alleato di Zelensky, ed è Macron che esce peggio dal voto di ieri. Gli altri vengono al seguito. Insieme alla scarsa affluenza (di cui poi passate le elezioni in genere si torna a parlare tra cinque anni) è questo l’aspetto che farà maggiormente riflettere.