Mercoledì 13 Novembre 2024
ELENA G. POLIDORI
Elezioni

Elezioni, una lettera al giorno: D come donne

Ecco il marchingegno che i partiti hanno usato per far limitare l'elezione delle donne in Parlamento: le 'pluricandidature'

Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia (Ansa)

Giorgia Meloni, leader di Fratelli d'Italia (Ansa)

Chi ha paura di una donna al comando? È giusto chiederselo, ora che Giorgia Meloni si trova in pole position per diventare la prima donna premier italiana, anche se la Meloni, secondo i detrattori, fa paura non tanto perchè donna, ma per quanto di porta dietro, in senso culturale, politico e valoriale e per una sua possibile - anzi, più che probabile- campagna per una riforma costituzionale in senso presidenzialista. Comunque, per gli estimatori del vecchio e polveroso gioco del ‘maschi contro femmine’ queste elezioni - nonostante la candidata premier - vanno ancora archiviate come quelle in cui i ‘maschi’ se le sono inventate di tutte per non candidare le ‘femmine’. E non stiamo parlando delle esclusioni eccellenti, da Giuditta Pini a Paola Taverna, passando per una Monica Cirinnà candidata, sì, ma senza possibilità di vittoria o di una Renata Polverini che ha scontato - come da lei stessa sottolineato - la battaglia personale sullo ‘Ius Scholae’. Quanto dei trucchetti, consentiti dalla legge elettorale, per far eleggere i ‘maschi’ a discapito delle ‘femmine’. E questo nonostante le ‘quote rosa’ che il Rosatellum comunque obbliga ad avere.

Ecco quindi il marchingegno che i partiti hanno ampiamente usato per far vincere i ‘maschi’: le pluricandidature. Si può infatti indicare lo stesso nome in un collegio uninominale e in cinque plurinominali contemporaneamente. Così si evitano molti fastidi. Proprio quello dell’alternanza uomo-donna, per esempio. Se uno spulcia le liste di Noi moderati - per dire - si stupirà di trovare Martina Semenzato, imprenditrice e collaboratrice del sindaco di Venezia Brugnaro, capolista in cinque circoscrizioni, dal Veneto alla Puglia, oltre che in un collegio uninominale. Questo vuol dire che a correre davvero in quei posti sono i secondi in lista, tutti ovviamente uomini; il saldo è 4 a 1 finale, una donna, quattro maschi. A Roma, ancora, Forza Italia presenta Berlusconi capolista, al secondo posto Bernini e al terzo Gasparri. Il meccanismo serve ad eleggere Gasparri perché i due che lo precedono saranno eletti altrove, ma il saldo è sempre a svantaggio femminile; 1 donna e due uomini eletti.

Insomma, per l’ennesima volta, le donne pagano il prezzo di giochi di potere tutti i partiti gestiti al maschile, per non parlare di parlamentari considerate solo in qualità di "mogli di", così che anche nel prossimo Parlamento, al netto delle quote, le questioni di genere resteranno ben poco rappresentate e desteranno sempre meno interesse. E stiamo parlando di gap salariale, disoccupazione femminile, i congedi di maternità e paternità, la violenza di genere, le malattie croniche e invalidanti, il matrimonio egualitario e la sopravvivenza della legge 194 sul diritto all’aborto. Dobbiamo forse pensare che un Di Maio, un Casini o un Cottarelli si interesseranno mai di queste cose? Suvvia.

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