Lunedì 23 Dicembre 2024
PIERO S. GRAGLIA
Elezioni USA

Una Casa Bianca per due. Nixon e Kissinger, i padri dell’America first. E il petrolio gelò l’Europa

Conservatore spregiudicato, governò il Paese fragile del dopo Vietnam. Il pragmatismo del Segretario di Stato chiuse l’era dell’idealismo kennediano. La crisi dello Yom Kippur e gli interessi energetici pesarono sui rapporti.

Conservatore spregiudicato, governò il Paese fragile del dopo Vietnam. Il pragmatismo del Segretario di Stato chiuse l’era dell’idealismo kennediano. La crisi dello Yom Kippur e gli interessi energetici pesarono sui rapporti.

Conservatore spregiudicato, governò il Paese fragile del dopo Vietnam. Il pragmatismo del Segretario di Stato chiuse l’era dell’idealismo kennediano. La crisi dello Yom Kippur e gli interessi energetici pesarono sui rapporti.

Roma, 30 settembre 2024 – L’arrivo di Richard Nixon alla Casa Bianca significa anche l’arrivo del primo presidente nato in uno Stato del Pacifico (California), dopo la lunga serie dei presidenti del New England. Di certo, però, non un californiano progressista. Se si potesse definire Nixon con un’immagine, aveva l’atteggiamento del quacchero sulla moralità e i costumi sessuali, mentre sul piano politico era disinvolto al limite dell’illegalità.

È difficile essere repubblicano e conservatore se nasci nello stato più liberal degli Stati Uniti. Questo è testimoniato da tutta la storia politica di Richard Nixon che, peraltro, ci riusciva benissimo, a costo di vedersi affibbiato l’appellativo di Tricky Dicky (Riccardino l’imbroglione) sin dalle prime esperienze politiche al Congresso, per la disinvoltura nella gestione delle sue campagne politiche; una cosa che, alla fine, gli costò la presidenza. Eppure, venne eletto nell’anno della grande trasformazione europea, il 1968, prendendo il posto di un Johnson politicamente decotto, esausto e screditato dalla "sporca guerra" in Vietnam, promettendo di riportare "i nostri ragazzi a casa" (cosa che poi, in effetti, fece).

La sua arma segreta nella gestione del potere presidenziale fu tuttavia un alleato di ferro, Henry Kissinger, nato Heinrich, politologo di Harvard di origini tedesche, che ne fu prima Consigliere per la sicurezza nazionale e poi Segretario di Stato. Difficile capire pienamente l’azione della presidenza di Nixon senza considerare il ruolo giocato da Kissinger. Non a caso un fine storico come Robert Dallek ha intitolato uno dei suoi libri più famosi ‘Nixon & Kissinger. Partners in Power‘. Fu effettivamente un partenariato quasi alla pari: in quegli anni circolava una battuta a Washington: "Se a Kissinger gli piglia un colpo, chi fa il presidente?".

Kissinger portò in dote a Nixon una dose pesante di realismo cinico che si coniugava bene con la sua visione dell’America: un Paese in crisi, che non poteva arrivare ovunque, che doveva graduare i suoi sforzi, che doveva cessare di essere il poliziotto mondiale e curare i propri interessi. La ‘dottrina Nixon’, oggi proposta come una novità di Trump, era all’epoca, in effetti, un cambiamento epocale: America first, con quel cinismo schietto che pensa prima ai propri interessi. I tempi di Truman e dell’idealismo kennediano, ma anche i tempi dell’interventista Eisenhower erano tramontati.

Con il Vietnam l’America si scopre fragile, anche socialmente debole, con problemi di politica interna e con la necessità di dialogare con i suoi nemici. 1968-1976, quasi un decennio, anni cupi, e lo si vede da cosa produce Hollywood: I tre giorni del Condor, Qualcuno volò sul nido del cuculo, Taxi Driver, Serpico, film crepuscolari, che raccontano società in disfacimento, governi truffaldini, cittadini disillusi, corruzione dilagante.

Con gli europei il duo Nixon/Kissinger non andò mai d’accordo, e gli europei mai amarono Nixon. Per il duo presidenziale l’Europa doveva stare al proprio posto come entità regionale e non doveva aspirare a sogni globali, sottolineandolo in almeno due occasioni. La decisione presa da Nixon nel 1971 di sospendere la convertibilità del dollaro in oro mandando a carte quarant’otto tutto il sistema monetario mondiale (e quello europeo per primo) e l’atteggiamento che Washington assunse nei confronti dei Paesi arabi con la guerra dello Yom Kippur dell’ottobre 1973. Il conflitto tra Israele, Egitto e Siria portò alla decisione degli arabi di ridurre l’estrazione di petrolio, aumentarne il prezzo e colpire con l’embargo petrolifero quei Paesi che avessero aiutato Israele. In pieno shock petrolifero, con le scorte al lumicino e le code ai distributori (in Italia le ‘domeniche a piedi’ non erano per motivi ecologici), Kissinger propose agli europei una risposta dura, economica e diplomatica: la creazione di una agenzia internazionale dell’energia, un cartello dei consumatori contro il cartello dei produttori arabi.

Gli europei non ci stettero. Non volevano cessare di mantenere un dialogo con i Paesi arabi pensando che il 90% del loro petrolio proveniva dal Medio Oriente, mentre gli americani potevano contare sul Canada, sul Messico e sul Venezuela, oltre che su risorse interne. Un conflitto che esprimeva bene la diversità di vedute tra la vecchia Europa e un’America pure invecchiata, senza più sogni. Con un certo senso di ironia il 1973, anno del confronto critico sul petrolio, si era aperto con la proposta di Kissinger di intitolarlo ‘anno dell’Europa’ per l’allargamento a Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca, ma si chiuse con poche feste. Ci fu la pace in Vietnam, ci fu il riavvicinamento tra Cina e Stati Uniti, ci fu il trattato SALT tra Unione Sovietica e Stati Uniti per la limitazione degli armamenti strategici. Ma il sogno era definitivamente rotto. Dopo Nixon, i rapporti tra Stati Uniti ed Europa non sarebbero più stati gli stessi.