Martedì 5 Novembre 2024
COSIMO ROSSI
Elezioni USA

Trump o Harris? Come voterebbero i politici italiani alle elezioni americane

Da Giorgia Meloni a Elly Schlein, passando da Salvini, Tajani, Conte, Renzi e Calenda ecco chi sceglierebbero i nostri politici tra i due candidati

Kamala Harris o Donald Trump: per chi voterebbero i nostri politici?

Kamala Harris o Donald Trump: per chi voterebbero i nostri politici?

L'atmosfera è cambiata dalla stagione della sovranità limitata. Anche per questo la politica italiana oggi intrattiene relazioni più sincere, ma non meno influenti, con quella americana. Per questo chi sederà nello studio ovale interessa eccome a maggioranza e opposizione, che hanno predilezioni tutt'altro che univoche al loro interno. Dato che nel centrodestra il vessillo di Trump è brandito innanzitutto dal vicepremier Salvini, con la presidente Meloni e l'altro vice e ministro degli esteri Tajani affatto più prudenti, per non dire diffidenti. Mentre nel centrosinistra, schierato decisamente per Harris, se il leader 5 Stelle Conte non simpatizza per il tycoon, perlomeno non lo osteggia, all'insegna dell'equidistanza.

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Storia di un’amicizia

Quanto la politica italiana sia stata condizionata da quella americana si legge negli annali. Il primo centrosinistra «organico» nacque nel 1963 in era Kennedy/Johson e non rivide luce con l'avvento di Nixon nel 1968. Mentre nel 1976 una più che riluttante amministrazione Carter permise ad Andreotti d'incassare l'astensione del Pci, all'insegna di un compromesso poi estinto dall'edonismo reaganiano e della Milano da bere anni '80. Nella seconda Repubblica, la giovane presidenza Clinton ha convalidato non solo l'Ulivo prodiano ma il noviziato dalemiano, primo premier post-comunista grazie ai buoni uffici di Cossiga. Berlusconi, da par suo, ha duettato nel bene e nel male con tutta la presidenza di Bush jr., iniziando a stentare dall'avvento Obama nel 2009. Analogamente Renzi (e Letta prima) è durato fino al 2016, quando Trump è salito in sella. Mentre con The Donald nello studio ovale si è insediato il primo e solo governo populist-sovranista in Italia, il giallo-verde Conte uno. Coincidenze o meno, il vento di Washington spira ancora sul cielo di Roma, anche se i tempi sono cambiati. L'innovazione di una presidenza Harris, prima donna alla Casa bianca, sarà improntata a una discreta continuità con la politica internazionale dell'amministrazione democratica di Biden. Il ritorno dell'istrionico Trump procurerà invece effetti destabilizzanti nel quadro internazionale in rapporto all'Europa; scuotendo paradossalmente più il centrodestra che il centrosinistra.

Salvini ultras di Donald

Una vittoria trumpiana amplificherebbe la comune visione su Europa, Russia, migranti, tasse, dazi e tutti i luoghi comuni del radicalismo oratorio a scapito della tessitura del nuovo centrodestra europeo cui lavorano il Ppe di Tajani, Weber e von der Leyen coi conservatori meloniani. Il tycoon in vero conosce appena Salvini. Si sono incontrati fugacemente una sola volta nel 2016 e in seguito Trump ha negato confidenza col leader della Lega, che pare non gli vada molto a genio. Qualche mese fa Salvini ha ottenuto un agognato colloquio telefonico, ma la scintilla non è mai scoccata. In caso di vittoria il capitano potrà confidare nei buoni uffici di Orbàn – apprezzatissimo ambasciatore di Trump a capo dei Patrioti europei dove afferisce la Lega – per diventare il concessionario italiano dei Maga (Make Amarica Great Again).

La diffidenza di Meloni

Anche se nel 2020 “da patriota italiana” se ne augurava la conferma, la premier non ha mai incontrato Trump. A differenza della numerose e apprezzate visite a Biden, che non depongono certo bene agli occhi del paranoico tycoon. L'entourage di Trump non si fida delle professioni di lealtà attraverso cui Meloni è salita sul carro euro-atlantista a partire dal netto schieramento anti-Putin sul conflitto russo-ucraino. La premier è perciò sospettata di intelligenza con le deprecate oligarchie internazionali di predilezione liberal-democratica. Tanto è vero che viene definita “Phony Meloni”, come dire “Giorgia la fasulla”. Perciò è probabilmente indebito affermare che Meloni tifi schiettamente per The Donald. La premier tifa innanzitutto per la propria strategia di legittimazione al vertice di un nuovo alveo euro-conservatore che l'isolazionismo e il disimpegno di Trump potrebbero scombinare a vantaggio degli alleati/competitor dei Patrioti. Non per questo non è pronta a trasformandosi da leader conservatrice, quale s’è sforzata di accreditarsi, in sovranista rinata. Meloni può del resto contare sulla sponda in Elon Musk, principale finanziatore e sodale del tycoon, per rientrare in gioco e prendere le redini del trumpismo europeo.

La prudenza azzurra

Il leader di FI e ministro degli Esteri Antonio Tajani rivendica espressamente una “linea di equilibrio” immune a ogni tifoseria. “Ci prepariamo a lavorare con Trump o con Harris con la stessa intensità”, sostiene Tajani. Che già nel 2020 aveva detto “non voterei” dovendo scegliere tra Trump e Biden. Il che non toglie che, come tutto il Ppe, anche gli azzurri siano preoccupati dall'avvento di The Donald in relazione soprattutto alla politica di dazi e disimpegno rispetto all'Europa e al conflitto con la Russia.

“Friend Giuseppi”

Trump l'ha battezzato “my friend Giuseppi” e lo chiama “my pal”, il mio compare. Il loro legame si strinse durante un G7, quando Conte era premier e si distinse dai lazzi sul presidente Usa. Successivamente Conte rese utili i servizi italiani per far luce sul Russiagate e Donald gliene rimane grato. Se vincesse Trump, perciò, il leader 5 Stelle non avrebbe di che dolersi. Lui fa professioni di equidistanza in nome del pacifismo. “Ho condannato Trump per Capitol Hill, e per altro – dice – Ma fatemi applaudire la Harris quando imporrà una svolta sul conflitto russo ucraino e interverrà sul conflitto a Gaza”. Certamente Conte vagheggia di poter cavalcare il maremoto europeo provocato dall'eventuale vittoria di Trump per riguadagnare consensi i populisti smarriti nel perimetro del campo di centrosinistra e soprattutto chance di premiership.

Elly for Harris

Il Pd non può che sostenere la candidata del partito omonimo. “Trump rappresenta una minaccia, la sfida ci riguarda, non bisogna essere d’accordo su tutto per sapere da che parte stare, cioè quella dei democratici, di Harris”, sostiene la segretaria del Pd Elly Schlein. Ma se vincesse Trump e Conte si rendesse più autonomo il Pd dovrebbe ricalibrare la propria strategia unitaria. Anche se non è detto che non ne tragga il vantaggio di riscoprire e rilanciare la propria esclusiva «vocazione maggioritaria» sul centrosinistra. Pur dovendo domandarsi dove e quanto il populismo incarcato da figure come The Donald riesce a intercettare rabbie e speranze popolari.

Terzo polo e AVS

In tutto e per tutto con Harris sia Renzi che Calenda e +Europa, all'insegna dell'ostentata cultura liberal-democratica. Osteggiato nel Campo largo, l'ex premier è paradossalmente colui che può vantare relazioni costanti col partito americano tramite il rapporto instaurato con Obama. Decisamente contro il “golpista in doppiopetto, pericoloso e inquietante” Avs. Che si augura vinca Harris, anche se non spasima per le posizioni in tema di guerra e politica estera della candidata democratica.