Roma, 4 novembre 2024 – Il 5 novembre è il grande giorno: gli americani si recheranno alle urne per scegliere il loro prossimo presidente, con impatti significativi sulla comunità internazionale, sulle dinamiche che in essa intercorrono e sull’economia di buona parte del globo. D’altronde, nonostante un mondo sempre più polarizzato, l’inquilino della Casa Bianca resta ancora uno degli uomini (o, in base agli eventi di domani, delle donne) più potenti del mondo.
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Il programma elettorale di Kamala Harris prevede in buona parte di continuare con la linea di Joe Biden (e di Barack Obama), con una spiccata collaborazione con l’Unione Europea e un’ispirazione atlantista e assistenzialista nei confronti dell’Ucraina. La vicepresidente ha impostato la sua piattaforma piuttosto sulle questioni interne.
Nel caso di una vittoria di Donald Trump, ci sarebbe invece un’inversione di tendenza su vari fronti. Le parole chiave del suo secondo mandato sarebbe isolazionismo e protezionismo: l’Europa farebbe i conti con inevitabili colpi alla sua economia.
Economia
Il tycoon – protezionista convinto – ha già annunciato l’intenzione di aumentare di almeno il 10% i dazi per i prodotti provenienti dall’estero: nel caso della Cina, l’aumento sarà addirittura del 60%. Quelli per la merce europea quintuplicherebbero, arrivando al 12%. In questo modo, secondo l’analisi dell’Ispi, Trump spera di riequilibrare la bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti. E a pagarne le conseguenze, sarebbero soprattutto quei paesi che costruiscono sull’industria manifatturiera e sull’export buona parte della loro economia, come la Germania e l’Italia. Se il repubblicano restasse alla Casa Bianca per quattro anni mantenendo queste misure, il prodotto interno loro di Berlino soffrirebbe una perdita di 127 miliardi di euro, stando alle stime di Euronews.
Kamala Harris ha parlato poco di economia in campagna elettorale: questo suggerisce che potrebbe porsi in continuità con Joe Biden. In altre parole, i tassi attuali dei dazi non verrebbero toccati, e i lavoratori americani verrebbero tutelati più sul ‘fronte interno’ che mediante decisioni macro economiche con riflessi sull’estero.
Politica
Nel 2016 la vittoria di un candidato così insolitamente di destra (per lo standard degli Stati Uniti) come Donald Trump aveva risuonato in tutto il mondo. Oggi, a pochi mesi da un’elezione europea che ha portato le forze ultra conservatrici ad essere molto rilevanti nel Parlamento europeo, lo stesso evento potrebbe avere una eco minore, ma causare impatti a lungo termine sulle sorti politiche dei singoli Stati del Vecchio Continente.
Gli analisti di Politico sostengono che il trionfo trumpiano del 2016 abbia notevolmente legittimato i movimenti di estremi destra in Europa, che ora sono spesso per i partiti moderati una ‘stampella’ fondamentale per governare. E’ il caso della Svezia e della Francia, dove sebbene gli ultra conservatori non facciano formalmente parte del governo, lo supportano esternamente. In altri paesi, come la Cechia, la Slovacchia o la stessa Italia, i partiti di destra sono il fulcro della coalizione al potere. Una seconda vittoria di Trump potrebbe galvanizzare ulteriormente il loro supporto e legittimare l’estrema destra negli angoli d’Europa dove non è ancora riuscita ad entrare in maggioranza.
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Apparato militare
Più volte, nel corso della campagna elettorale, Donald Trump ha minacciato di diminuire il supporto americano agli sforzi bellici dell’Ucraina. In quel caso, l’Unione Europea, il Regno Unito, il Canada e il Giappone resterebbero gli unici paesi a “sobbarcarsi l’onere”, come sottolineato dall’Ispi. Un impegno economico non da poco. Ma l’apparato militare sarebbe ‘minacciato’ anche internamente, in quanto gli stati europei contando su Washington per farsi carico delle proprie carenze in questo ambito. Se Trump chiudesse i rubinetti, i governi del nostro continente potrebbero decidere di incrementare la spesa pubblica per la difesa fino al 2% del Pil, con conseguenze su altri settori. Secondo i dati di Goldman Sachs, il supporto all’Ucraina e la ‘solitudine’ nella difesa, costerebbero ai bilanci pubblici europei circa 80 miliardi all’anno.
Kamala Harris punta invece a continuare a sostenere Kiev, scongiurando in tutti i modi un conflitto diretto tra Nato e Russia. Ma il supporto potrebbe essere ‘a scadenza’: non è detto che, con un prolungarsi della guerra, Washington non cominci a ‘disimpegnarsi’ progressivamente, spingendo Zelensky a un tavolo di trattative. Va però detto che è difficile pensare che l’eventuale presidente Harris intenda ripresentarsi alle elezioni del 2028 con il fardello di un’Ucraina sconfitta sul curriculum.
In ogni caso, nell’ambito della politica estera, saranno molti importanti gli equilibri che si formeranno al Congresso, i cui membri saranno rinnovati in elezioni parallele domani. Ad esempio, non poche volte Biden ha dovuto ridimensionare i suoi piani sull’Ucraina per trovare un accordo con la Camera dei rappresentanti attualmente guidata dai repubblicani.