Roma, 7 novembre 2024 – “Io non inizierò guerre, le fermerò”, ribadisce Donald Trump. E lo dice dalla campagna elettorale del 2016. Ottimo. Il problema è: a che prezzo? “Il modo più veloce per finire una guerra, dice un aforisma di George Orwell, è perderla” osserva con un filo di ironia Gastone Breccia, storico militare dell’università di Pavia. Donald Trump è un isolazionista, e cercherà di tirarsi fuori dalle aree di conflitto, evitando accuratamente di aprirne altre, e lo farà senza porsi alcuna remora morale o geopolitica. Non a caso, ha trattato con i talebani l’uscita dall’Afghanistan senza alcuna contropartita.
Tre saranno le aree sulle quale oggi dovrà esercitarsi: l’invasione russa dell’Ucraina, la guerra israelo-palestinese in Medio Oriente e il potenziale confronto militare tra Cina e Taiwan. “In Ucraina – osserva Breccia – tenterà davvero di fare la pace, perché a lui e ai suoi elettori di quel conflitto importa ben poco. Dopo l’insediamento è quindi probabile che Trump contatti Putin e Zelensky per proporre un piano che potrebbe comportare un cessate il fuoco e un sostanziale mantenimento delle linee attuali, quindi con i riconoscimento alla Russia di gran parte dei territori conquistati”.
Entrambe le parti sanno dell’intenzione trumpiana e non a caso Putin “tramite amici” è stato tra i primi a congratularsi per l’elezione di Trump e così han fatto Lavrov e Medvedev. Soddisfatto Zelensky dopo una telefonata di congratulazioni con Trump definita eccellente: “Apprezzo l’impegno del presidente Trump per l’approccio “pace attraverso la forza”. Questo è esattamente il principio che può avvicinare la pace giusta in Ucraina. Spero lo metteremo in pratica insieme”. Perché la verità è che la pace in realtà non la vuole nessuno dei contendenti e per questo entrambi cercano di tirare per la giacca Trump. Il Financial Times ha scritto a fine ottobre che secondo il team dell’ex presidente il conflitto può essere risolto “creando zone autonome e zone smilitarizzate su entrambi i lati del confine e garantendo a Mosca che l’Ucraina non entri nella Nato”. Sembra una riedizione dei falliti accordi di Minsk.
“Il problema – prosegue Breccia – è che Putin alzerà la posta sapendo che Trump vuole forzatamente far concludere il conflitto: certamente vorrà tenersi tutte le zone che ha occupato. E quindi l’esito finale rischia di essere per Kiev molto simile ad una indigeribile sconfitta mentre è tutto da vedere se Putin accetterà una vittoria parziale: il vento spira a suo favore e sente di poter ottenere tutti i suoi obiettivi”.
L’elezione di Trump è invece una ottima notizia per il governo israeliano. “Trump – sostiene Breccia – darà mano libera al governo Netanyahu per fare quello che crede. E sarà ancora più duro con l’Iran. Dal punto di vista dei falchi israeliani, non potrebbe andare meglio e infatti Netanyahu ha appena fatto saltare il ministro della Difesa Gallant”.
E la Cina, vero grande competitor strategico dell’America? “Trump – osserva lo storico – non vuole uno scontro aperto con Pechino e potrebbe tentare la carta di una de-escalation, garantendo un riarmo controllato di Taiwan senza esagerare nei volumi, e assicurando a Pechino accordi commerciali e forse una intesa che riguardi il Pacifico occidentale, compresa una non opposizione alle rivendicazioni su Taiwan”.
Di certo, sarà una America che si chiama fuori e interviene solo se e quando i suoi interessi sono minacciati: l’opposto dell’internazionalismo dem e dell’esportazione della democrazia dei ‘neocon’. Questo, in teoria, perché poi la storia è dannatamente ricca di Pearl Harbour o 11 settembre che ti impongono di fare quello che proprio non vorresti. La guerra.