Roma, 17 ottobre 2024 – Quando mancano pochi giorni alle presidenziali, per gli statunitensi scatta l’ora dell’incertezza e si aggiunge un motivo di stress: i sondaggi. Ogni giorno quotidiani, tv e siti specializzati pubblicano dati e aggiornamenti sulla corsa tra Kamala Harris e Donald Trump. Un giorno sale uno. Quello dopo tocca al rivale.
Ma ultimamente i dati che indicano una risalita del tycoon, dopo due mesi di fatica, hanno gettato nel panico milioni di elettori democratici. Eppure la storia degli ultimi 40 anni dovrebbe aver insegnato che i sondaggi, nelle settimane prima del voto, si sono rivelati spesso ingannevoli. Ecco tutti i precedenti di debacle delle statistiche elettorali.
Reagan-Mondale
Il 16 ottobre 1984, proprio 40 anni fa, il New York Times pubblicò un sondaggio choc: Ronald Reagan appariva in caduta libera rispetto al suo avversario, il democratico Walter Mondale. A inizio ottobre il candidato repubblicano era avanti di 13 punti, a metà mese era sceso a 9. Al voto mancavano solamente 14 giorni. Che cosa stava succedendo? I media parlarono di "onda lunga che si è fermata”. Secondo quanto raccontava il Times, la “corsa per presidente è diventata più incerta negli 11 Stati più grandi, dove il vantaggio di Reagan è passato dall'11 al 7%”. Due giorni dopo lo stesso quotidiano titolava: “I dibattiti hanno forse cambiato i pronostici”. Ma quando si aprirono le urne i sondaggi si rivelarono totalmente sballati: Reagan aveva stravinto le elezioni, conquistando la vittoria in ben 49 Stati. Mondale era riuscito a prendere solo lo Stato dove era nato, il Minnesota. Quella è stata l'elezione col margine più ampio nella storia Usa: quasi 17 milioni di voti in più. All'ex star di Hollywood andarono 525 grandi elettori. A Mondale, appena 13.
Bush-Clinton
Nel 1992, poco prima dell'Election Day, i sondaggi indicarono la crescita verticale del presidente in carica George Bush sullo sfidante, il democratico Bill Clinton. Il 29 ottobre '92 Ruth Marcus sul Washington Post scriveva: "Il presidente Bush, esaltato dai sondaggi che indicano equilibrio, ha detto oggi che i sostenitori del candidato dem Bill Clinton sentono che la vittoria stia sfuggendo di mano”. “Mi dispiace per loro”, ha aggiunto. Bush, aveva commentato il quotidiano, era stato accompagnato in Ohio dagli attori Bruce Willis e Arnold Schwarzenegger, “in questo Stato conteso, dove i 21 grandi elettori sono decisivi per la sua rielezione, e dove Bush ha preso il 55% nel 1988, mentre adesso è dietro”. Nonostante quanto affermasse il giornale della capitale, Bush perse anche l'Ohio per 90mila voti. Clinton conquistò il voto popolare a livello nazionale con un più 6%, ma travolse Bush nei vari Stati, portando a casa 370 grandi elettori contro i 168 del suo avversario.
Bush Jr-Gore
Otto anni dopo, nel 2000, sempre il Washington Post titolò: "I ricercatori dicono che è troppo facile: vincerà Gore”. Il giornale citava i prof dell'American Political Science Association. Sei accademici sui sette interpellati dal quotidiano avevano assegnato al candidato democratico Al Gore una vittoria tra il 52,3 e il 55,4%. Il settimo avevano dichiarato che Gore avrebbe superato il 60% dei consensi. In realtà Albert Gore Jr non prese il 60,3%, ma perse, seppure all'ultimo voto in Florida, contro George W. Bush, figlio del presidente sconfitto da Clinton.
Obama-McCain
Trenta giorni prima delle elezioni presidenziali del 2008, l'emittente radiofonica pubblica Npr aveva pubblicato un sondaggio su 14 Stati chiave, e che mostravano come la corsa tra Barack Obama e John McCain fosse in parità. "Ad agosto – aveva spiegato Npr – Obama guidava i 14 Stati di tre punti, ora è McCain avanti di due. Lo scenario è cambiato molto”. Poche settimane dopo Obama avrebbe battuto McCain, dominando il voto popolare con un +7% e stravincendo quello dei collegi elettorali: alla fine il candidato democratico aveva conquistato 365 grandi elettori contro i 173 del suo avversario.
Obama-Romney
Nel 2012 la storia si è ripetuta. A ottobre, poco prima dell'Election Day, i sondaggi avevano indicato in Mitt Romney il favorito su Obama. "Romney – scrivevano i sondaggisti – ha raggiunto Obama nella corsa presidenziale – 46 a 46 tra gli elettori registrati – dopo essere stato indietro di 9 punti, 42 a 51 a settembre”. “Tra i probabili votanti – continuava l'analisi – Romney mantiene un leggero vantaggio, 49 a 45, su Obama. Lo scorso mese era indietro di otto punti”. Poche settimane dopo Obama sconfisse Romney di 4 punti nel voto popolare e dominò quello dei collegi: alla fine si aggiudicò 332 grandi elettori contro 206.
Trump-Clinton
Otto anni fa, il 18 ottobre, il New York Times pubblicò una previsione che resterà nella storia: "Hillary Clinton ha il 91% di possibilità di vincere”. A Trump era stato assegnato un misero 9%, che non lasciava speranze. Poi sappiamo come è andata: Clinton vinse il voto popolare, quasi tre milioni di voti in più del suo avversario, ma perse nettamente la corsa negli Stati. A Trump andarono 304 grandi elettori, alla sua avversaria 227.
Persino nelle elezioni di midterm i pronostici si sono rivelati ingannevoli: nel 2022 tutti i media avevano previsto "un'onda rossa”, il colore dei repubblicani, pronta a spazzare via i democratici dal Congresso. Poche persone, tra cui il regista e attivista Michael Moore, avevano previsto il contrario: i liberal ridussero al minimo la sconfitta alla Camera e portarono a casa la maggioranza al Senato.
Il New York Times, uno di quelli che aveva disegnato scenari catastrofici per i democratici, dovette scrivere un articolo in cui ammetteva come i sondaggi avessero fatto deragliare tutte le previsioni.