Lunedì 28 Ottobre 2024
PIERO GRAGLIA
Elezioni USA

Reagan, divo presidente. E l’America tornò grande: mercato, lotta all’Urss. Gorby e il crollo del Muro

Carter lasciò il testimone a un personaggio anomalo che farà la storia. Le riforme stile Thacher portarono al boom degli anni ’80 a spese dei più poveri. Nessun dialogo con l’Europa, rapporto segnato dalla crisi degli euromissili

Reagan, divo presidente. E l’America tornò grande: mercato, lotta all’Urss. Gorby e il crollo del Muro

Carter lasciò il testimone a un personaggio anomalo che farà la storia. Le riforme stile Thacher portarono al boom degli anni ’80 a spese dei più poveri. Nessun dialogo con l’Europa, rapporto segnato dalla crisi degli euromissili.

Roma, 28 ottobre 2024 – Nel 1980 Europa e Stati Uniti sembravano poter tirare finalmente un po’ il fiato dopo le turbolenze delle profonde crisi degli anni ’70. In Gran Bretagna, nel 1979, si ebbe un cambiamento importante: Margaret Thatcher, prima donna a diventare Primo ministro nella storia britannica, conservatrice, aprì un decennio di profondi cambiamenti nell’economia britannica con effetti che andarono ben oltre i confini del Regno Unito: minore pressione fiscale sui redditi più alti, smantellamento della spesa pubblica ritenuta inutile, riduzione della partecipazione statale nelle attività economiche.

Una cura dimagrante dolorosa, particolarmente per i ceti britannici meno abbienti, che però funzionò da modello proprio per gli Stati Uniti. Quando nel novembre 1980 si ebbero le elezioni statunitensi, con la prevedibile uscita di scena del democratico Jimmy Carter, alla Casa Bianca entrò un personaggio del tutto anomalo per la tradizione statunitense, Ronald Reagan. Un passato di attore di seconda fila (era stato definito "un Erroll Flynn di serie B"), una disarmante facilità comunicativa condita da decine di barzellette, poche semplici idee e di certo nessuna area da filantropo intellettuale.

Ronald Reagan era il secondo californiano conservatore a diventare presidente dopo Nixon e, come Nixon, fece subito capire che voleva dare una svolta decisa alla politica statunitense. Sul piano economico, copiando di fatto le ricette britanniche e ampliandole alla scala statunitense (le sue ricette economiche vennero definite le Reaganomics); sul piano politico interno, ponendosi come interprete veritiero dello spirito americano, che vede comunque nel governo sempre un nemico e vuole pochi controlli e limiti. Soprattutto fu poi il presidente che cercò di restituire orgoglio all’America, facendo del moto "let’s make America great again" (rendiamo di nuovo grande l’America) la sua bussola. In politica estera questo significava sanare i danni provocati, a suo dire, dalla remissività di Carter, reagire con decisione all’aggressività sovietica e rivendicare il ruolo dell’America come guida del ‘Mondo libero’. Questo venne perseguito con un aumento deciso delle spese militari, aumentando la tensione con l’Urss e dando vita a una seconda guerra fredda.

Per quanto riguarda l’Europa la sua presidenza fu segnata dalla crisi degli euromissili, cioè la decisione di alcuni governi europei (Germania occidentale e Italia in primis) di chiedere agli Usa armi nucleari a medio raggio per rispondere allo schieramento, da parte sovietica, dei micidiali SS 20, missili a testata multipla in grado di colpire ogni area dell’Europa occidentale. Gli SS 20 erano tecnologicamente molto più credibili di qualsiasi altro missile sovietico messo in campo fino a quel momento, e la minaccia per gli europei era quanto mai concreta. La seconda guerra fredda avviata da Reagan con il pesante riarmo statunitense si colorava a quel punto della prospettiva di una guerra tutta europea, innalzando la tensione tra i due blocchi e aumentando la conflittualità sociale all’interno delle società europee, con vaste manifestazioni contro la presenza degli euromissili, di una parte e dell’altra, sul suolo del continente.

È nel periodo di Reagan, dal 1981 al 1989, che la vecchia Comunità economica europea, in procinto di diventare Unione europea, scopre il suo grande limite originario: essersi integrata profondamente sul piano economico e commerciale, essere in procinto di approfondire i legami sul piano monetario, varando anche un mercato unico, ma nello stesso tempo essere totalmente priva di una difesa comune e di una politica estera comune.

La rozza visione geopolitica di Reagan non era così raffinata da porsi il problema del posto dell’Europa sulla scena internazionale: nella sua visione, l’Europa era soltanto un elemento accessorio della politica statunitense, un mero esecutore, anche di ordini se necessario. Reagan capiva molto poco la politica internazionale e, soprattutto, se ne interessava facendosi guidare da pregiudizi e luoghi comuni che resero la sua Presidenza molto assertiva e molto poco dialogante, soprattutto con gli alleati europei.

La sua fortuna fu di incontrare, dal 1985 in poi, un sovietico nuovo, differente, aperto al dialogo: Mikhail Gorbaciov. Fu lui che di fatto favorì il disgelo, firmò con Reagan l’importante accordo che eliminò la presenza degli euromissili, e disse parole semplici e accorate agli europei parlando di "Casa comune europea". Il messaggio di Gorbaciov non venne compreso dagli europei. L’idea di una posizione politica della Cee autonoma dagli Stati Uniti, europea nel vero senso della parola, restò una chimera, sbandierata come se la sola sua enunciazione avesse portato a una nuova stagione. Di lì a poco nuovi venti di guerra avrebbero soffiato su un continente sempre spaesato: guerra civile in Jugoslavia e prima Guerra del Golfo; e non vi sarebbe stata una risposta comune europea, solo un allinearsi, con qualche sfumatura, sulle posizioni di Washington.