New York, 29 ottobre 2024. Donald Trump ed Elon Musk sono i protagonisti assoluti del deepkake, quando mancando pochi giorni alle elezioni presidenziali Usa. Il candidato repubblicano e il suo più accanito sostenitore sono infatti in testa alla classifica dei video falsi creati grazie all’intelligenza artificiale. L’AI nel 2020, quando a sfidarsi furono Biden e Trump, era solo agli albori e per questo il suo utilizzo allora fu marginale. In questa campagna, invece, chi ha voluto fare disinformazione ha attinto a piene mani dagli ultimi ritrovati dell’informatica.
Deepfake
Innanzitutto bisogna capire cosa siano e come funzionino i deepkfake. Il deepfake è una tecnica che, sfruttando l’intelligenza artificiale, permette, partendo da una decina di secondi di girato (ma a volte anche meno), di generare nuovi contenuti originali. Si tratta di un’arma molto potente, in quanto è sempre più difficile distinguere cosa sia vero e cosa sia stato creato ad arte. Ovviamente un deepfake può essere creato per danneggiare una persona o, in una campagna elettorale, un candidato facendogli dire cose fase o facendogli fare qualcosa che non farebbe mai. Anche perché, secondo uno studio pubblicato pochi giorni fa dall’università dello Utah, il 56% degli americani non è in grado di distinguere tra un video reale e uno generato dall’intelligenza artificiale.
La classifica
Kapwing, una società che si occupa di video editing, ha stilato una classifica dei personaggi per cui sono stati richiesti più deepfake tra gennaio e settembre di quest’anno su un popolare canale Discord. Donald Trump domina con 12.384 filmati generati, tallonato da Elon Musk a 9,544. Joe Biden è quarto con 7.956, preceduto solo dalla popstar Taylor Swift. Kamala Harris (che però è diventata ufficialmente la candidata democratica solo a partire da luglio) è staccatissima, con appena 113 richieste. Per capire la portata di questi video artefatti basta un esempio: in gennaio un falso filmato di Taylor Swift è stato visto 45milioni di volte su X in appena 17 ore.
La disinformazione
E poi c’è la disinformazione. Viene fatta in maniera più sottile e capillare su tutti i media (non solo quelli digitali) e i suoi effetti non possono essere sottostimati. Una delle comunità più prese di mira in questa campagna elettorale è quella degli afroamericani. Secondo uno studio pubblicato a luglio da Onyx Impact, almeno 41 milioni di americani che frequentano social o spazi mediatici confezionati per la black community sono finiti nel mirino di diversi network che supportano più o meno apertamente Donald Trump, con l’obiettivo di disincentivarne il voto.
Le ingerenze esterne
Ma non sono solo gli attori interni che stanno cercando di influenzare attraverso la disinformazione queste elezioni presidenziali. Russia, Cina e Iran sono in prima linea nel tentativo di orientare il voto. Se nel 2016, quando furono svelati per la prima volta gli sforzi del Cremlino di influire sul risultato delle presidenziali, le tecniche utilizzate erano grossolane (tra i post di allora che furono più condivisi su Facebook dall’esercito di bot made in Russia c’era un laconico “Hillary è Satana”), oggi gli strateghi di Mosca, Pechino e Teheran sono in grado, secondo un recente articolo pubblicato del New York Times, di colpire bersagli molto precisi. Secondo i report degli 007, mentre la Russia sostiene Donald Trump, il regime degli ayatollah preferirebbe vedere Kamala Harris alla Casa Bianca. La Cina, invece, non avrebbe precise preferenze. La differenza, rispetto al passato, è il grado di penetrazione. La disinformazione di Stato, infatti, è in grado di raggiungere precisi distretti elettorali. Secondo diverse ricerche, più le informazioni false sono personalizzate più sono in grado di attecchire. Le potenze estere, secondo il New York Times, stanno concentrando i loro sforzi (su qualunque piattaforma social possibile) su precise contee degli Stati in bilico. In questo modo le chance di influenzare il risultato finale diventano molto più alte.
I bersagli
L’Iran, ad esempio, ha sfruttato le proprie risorse per organizzare sforzi di disinformazione occulta volti ad attrarre piccoli gruppi. Il sito web ‘Not Our War’ mirava, secondo il New York Times, ad attirare i veterani dell’esercito, alternando articoli sulla mancanza di supporto per i soldati in servizio attivo a contenuti fortemente antiamericani e teorie cospirative. Altri siti tra cui Afro Majority hanno creato contenuti specifici dedicati agli afroamericani, mentre Savannah Time aveva l’obiettivo di influenzare gli elettori conservatori nello stato chiave della Georgia. In Michigan, un altro stato chiave, l'Iran ha creato la piattaforma Westland Sun per rivolgersi direttamente agli arabo-americani nei sobborghi di Detroit.
Il problema di fondo
Secondo il New York Times, la disinformazione straniera è esplosa negli ultimi anni perché i giganti tecnologici hanno quasi del tutto abbandonato i loro sforzi per contrastarla. Le principali aziende, tra cui Meta, Google, OpenAI e Microsoft, hanno ridotto i tentativi di etichettare e rimuovere la disinformazione dall'ultima elezione presidenziale. Molti social non hanno alcuna squadra dedicata a questo scopo. Ed è proprio la mancanza di una politica coerente tra le aziende tecnologiche ad aver creato le condizioni per le potenze straniere di sfruttare al meglio le loro armi e cercare di influenzare anche questo voto.