Roma, 1 novembre 2024 – Quest’anno la parola chiave è Omaha. Questa cittadina del Nebraska, capoluogo della contea di Douglas che all’ultimo censimento contava 486.051 persone, potrebbe determinare il destino degli Stati Uniti d’America. O, almeno, di questo sono convinti alcuni dei più accreditati analisti di dinamiche elettorali statunitensi. Che, come si sa, sono tra le più complicate al mondo. In pratica: le ultime curve dei sondaggi elettorali americani danno Kamala Harris e Donald Trump talmente vicini nei cosiddetti swing states (talvolta si tratta di differenze dell’0,1%) – i quali con il peso del numero dei grandi elettori (di questi la Pennsylvania con 19 voti elettorali rappresenta il premio più ambito) possono piegare tutta la dinamica del voto del 5 novembre verso la vicepresidente in carica piuttosto che verso l’ex tycoon - che anche un microscopico vantaggio in una località specifica può fare da solo la differenza.
E così, mentre il mondo intero si studia l’intreccio intricatissimo dei polls americani, con tanto di media ponderata tra i sondaggi a livello federali e l’aggiornamento ad horas di quelli di ogni singolo Stato, i media a stelle e strisce fanno la gara ad esaminare il “caso Omaha”: il fatto è che, al contrario di quello che accade nella maggioranza degli altri States, il Nebraska assegna i suoi voti elettorali in base al distretto congressuale piuttosto che al vincitore assoluto. Ecco, Omaha da sola determina un singolo preziosissimo voto elettorale: pertanto, tra i vari scenari possibili, c’è quello per cui negli swing states Harris vinca, per dire, solo in Michigan, Wisconsin e Pennsylvania, motivo per cui le mancherebbe un solo voto elettorale per la presidenza, e quello potrebbe arrivarle proprio da Omaha. Gli specialisti lo chiamano the blue dot, il “punto blu”: e blu è il colore dei democratici. Non per tifo per Kamala, più che altro perché nei sondaggi locali la maggior parte degli elettori della città nabraskiana ha espresso il proprio favore per Kamala. Pare un paradosso, ma mentre tutto il mondo in questi ultimi giorni sta appeso alle curve americane – da Mosca a Berlino, passando da Bruxelles a Pyongyang, si potrebbe dire - gli esperti con cipiglio grave ti informano che la corsa alla Casa Bianca sarà decisa “da un manipolo di americani sparsi in 12/15 contee”.
In effetti la partita sembra sempre più sul filo del rasoio, anche se l’eventuale spostamento di voti finisce per cambiare il “peso” del carico di voti di ciascuno Stato: così in due sondaggi su tre Harris ora risulta in leggero vantaggio in North Carolina, Stato che finora era dominato da Trump, mentre proprio in Pennsylvania dopo settimane e settimane di vantaggio ora è l’ex presidente che sembra avere la meglio, sia pure con una percentuale infinitesimale. Idem il discorso su Nevada e Arizona, il cui peso specifico cresce o diminuisce a seconda di come va negli altri states. Nate Cohn, il principe degli analisti politici (sempre del New York Times), la dice così: “A pochi giorni all’elezione i sondaggi mostrano una corsa molto stretta: né Trump né Harris guidano per oltre un singolo punto né a livello nazionale, né nei battleground states”.
Tutti ricordano il disastro dei sondaggi del 2016, quando praticamente tutte le rilevazioni preconizzavano il trionfo di Hillary Clinton ed invece fu l’ex tycoon a conquistare la Casa Bianca, avendo massicciamente intercettato la rabbia dei bianchi dell’America profonda, persone che forse i sondaggi non avevano all’epoca “gli occhi” per vedere tanto erano esclusi dal discorso pubblico. Anche se oggi i sondaggisti assicurano di aver decisamente affinato i propri strumenti, la notte del 5 novembre rischia di essere veramente al cardiopalma.
Addirittura, non è neanche detto che si saprà il nome del vincitore, tanto saranno vicini i numeri. E allora i democratici ti ricordano con speranza il fenomeno del “Red Mirage” e della “Blue Shift”: vuol dire che se la forbice in effetti è stretta, all’inizio degli scrutini appaiono sempre in vantaggio i repubblicani (il cui colore è il rosso), perché arrivano per primi i conteggi delle zone rurali ma scarsamente popolate che tradizionalmente votano repubblicano, a cui di norma segue il “turno blu”, perché col tempo arrivano i conteggi delle zone più urbane e pertanto più popolose, che in prevalenza votano democratico.
Infine, c’è un altro dato che fa sperare Kamala: sono oltre 60 milioni gli americani che hanno già votato per posta, superando il record del 2020: stando agli analisti, il 55% di costoro sono donne e il 45% sono uomini. Ecco, il vantaggio di Harris nell’elettorato femminile secondo gli analisti sarebbe di oltre 19 punti, mentre Trump non disporrebbe di un’analoga spinta tra gli elettori maschi. Dopodiché, si tratta di assicurarsi ancora il voto di coloro che si recheranno alle urne il 5 novembre: nel complicatissimo sistema elettorale americano e con il peso spropositato degli swing states decisivi nell’arrivare alla soglia dei 270 voti elettorali necessari per conquistare la Casa Bianca, certi voti sono più pesanti degli altri. A cominciare da quello di Omaha, che sta sulla sponda del fiume Missouri e che deve il suo nome agli indiani nativi Omaha, che erano di casa proprio in questo scorcio di Nebraska: chissà come voteranno i loro discendenti.