Il primo banco di prova per l’Europa dopo la rielezione di Donald Trump sarà tra pochi giorni: il 12 novembre saranno sentiti e valutati i sei candidati alla vicepresidenza esecutiva della commissione, tra i quali Raffaele Fitto. Sarà l’occasione per misurare la temperatura della maggioranza di Ursula II che dovrà confrontarsi con la Casa Bianca sul crocevia tra guerre ed economia. Trump manterrà le promesse sui dazi se lo riterrà utile per l’America: tariffe universali al 60% per i prodotto cinesi, tra il 10 e il 20% sulle altre importazioni. Misure che in Europa colpirebbero i maggiori esportatori negli States: Germania e Italia.
Trump ha definito i dazi "la più grande cosa mai inventata", lo chiamano Tariff Man. Nel 2018 impose il 25% sull’import di acciaio e il 10% sull’alluminio. L’Europa rispose colpendo il bourbon e il succo d’arancia. Lite sterilizzata da Biden e von der Leyen, ma mai risolta. Come la disputa sugli aiuti pubblici a Boeing e Airbus che, dopo 20 anni, nel 2021, trovò tregua in sede Wto con un’intesa di cinque anni che scadono a luglio 2026. Le partite aperte, insomma, non mancano, tra due leadership di diverso carisma. Fortissima oltreoceano, un’anatra zoppa sulla sponda europea. Ammaccata dalla debolezza francese, dalla recessione e dalla crisi politica di una Germania rivolta al voto dopo la cacciata di Lindner dal governo di Olaf Scholz. Un tagliando impietoso per il motore europeo. Se cercherà un ancoraggio più stabile, ai tavoli del G7, von der Leyen dovrà guardare verso Meloni. Per questo la discussione su Fitto è rilevante.
Dopo il crollo del Muro di Berlino, l’Europa si inventa l’euro. Convalescente da Covid, vara un piano di ripresa impensabile. Gli choc passati hanno spronato l’Europa. Sarebbe grossolano dedurre che il cambio alla Casa Bianca dia vita, per simpatia, a una Ue più unita, competitiva e in grado di provvedere alla propria difesa. Cercansi statisti.