Roma, 6 novembre 2024 – I giorni di fine luglio nei quali Kamala Harris sembrava proiettata verso la Casa Bianca, quella ventata di novità dopo una fallimentare campagna dell’ultraottantenne Joe Biden, l’idea che un secondo mandato di Donald Trump fosse possibilità remota, sembrano lontani anni luce. Il tycoon ha vinto, il 20 gennaio tornerà alla Casa Bianca.
Ma com’è possibile che dall’entusiasmo per la candidatura di Harris, continuamente avanti nei sondaggi (sebbene per pochi punti percentuali nelle ultime settimane) si sia passati a una sconfitta su tutti i fronti, persino nel voto popolare, dove neppure Hillary Clinton aveva vacillato? La Cnn ha stilato alcuni dei motivi dietro al fallimento della campagna della prima donna nera e figlia di immigrati a prendere parte alla corsa per la Casa Bianca.
La presenza ‘ingombrante’ di Biden
Kamala Harris è scesa in campo il 21 luglio, a una manciata di minuti dal passo indietro di Joe Biden, che sembrava destinato alla sconfitta. Una mossa più che tardiva, dopo oltre un anno di campagna del presidente in carica: nessun segnale è bastato per fargli fare un dietrofront per il bene del partito. Numerosi suoi assistenti gli avevano consigliato di lasciar stare, specie dopo la disastrosa performance dei dem alle midterm del 2022, nelle quali avevano perso il controllo della Camera. Ma nulla, secondo gli analisti del network americano Kamala Harris ha inevitabilmente pagato per l’egoismo di Biden.
Alla vicepresidente è mancato il tempo di farsi conoscere, dopo quattro anni nei quali, nonostante numero 2, è rimasta insolitamente silenziosa.
Certo, un passo indietro ‘anticipato’ del commander in chief non si sarebbe automaticamente tradotto in una candidatura ‘d’emergenza’ di Harris, quindi qui il discorso vira al di fuori della sua campagna. Ci sarebbero state delle primarie ‘aperte’, nei quali diversi candidati si sarebbero sfidati, e il più forte avrebbe vinto. Sarebbe stata comunque Kamala Harris? Difficile a dirsi, ma nel caso lo fosse stata, avrebbe avuto molto più tempo per farsi conoscere e costruire un movimento attorno a sé.
Il discorso della vittoria di Trump: cosa ha detto
La mancata presa di distanze
Ha avuto davvero senso, si chiedono gli analisti della Cnn, che la nuova candidata si sia presentata come in continuità con il candidato che si stava avviando verso la mancata rielezione?
Poco più di due settimane prima dell’election day, Kamala Harris aveva preso parte al talk ‘The View’, dove il conduttore Sunny Hostin le aveva chiesto cosa avrebbe fatto di diverso rispetto a Biden nei quattro anni della loro collaborazione. Un assist mancato? Forse. La fedele vice ha risposto: “Non c’è una singola cosa che mi viene in mente”.
Ma gli elettori chiedevano altro: è stato forse superficiale da parte dei dem considerare che l’unica pecca di Biden fossero le difficoltà della sua età. Gli americani volevano (e vogliono) un’economia diversa; i dem più radicali chiedevano una presa di distanze più chiara da Israele. Harris non ha intercettato questi umori.
Cosa succede ora: i prossimi passi
Lotte intestine
La campagna di Kamala Harris è nata sulle ceneri di quella di Joe Biden: molti manager, assistenti e alleati sono stati confermati quasi sulla fiducia. Ma la vicepresidente ha anche assunto ‘donne e uomini propri’, di vedute diverse, che sono entrati inevitabilmente in scontro con la vecchia guardia bideniana.
Tutto ciò ha rallentato una candidatura già tardiva e non ha permesso la costruzione di una piattaforma chiara che si trasformasse in un movimento attorno a Harris. Quello, probabilmente, avrebbe attirato più giovani, donne ed esponenti delle minoranze alle urne.
Tra i dirigenti della campagna elettorale, l’entusiasmo è crollato mano a mano che ci si avvicinava all’election day. Qualche settimana fa hanno ammesso che se le elezioni si fossero tenute allora, la loro candidata avrebbe perso. In definitiva, una base fragile per Kamala Harris.
Il candidato vice
Tim Walz non è stato una scelta sbagliata per il ticket, ma forse imperfetta. L’altro nome arrivato nella ‘finalissima a due’, era quello del governatore della Pennsylvania Josh Shapiro: popolarissimo, avrebbe potuto aiutare a conquistare lo stato chiave. Lui era la scelta caldamente suggerita dai famigliari e dai cari di Kamala Harris. Un uomo che ha l’aura del ‘prossimo Obama’, ricordandone la fiducia in sé, il carisma e in parte le politiche.
Ma la vicepresidente ha voluto seguire il cuore, o quantomeno ciò che il suo stomaco le suggeriva. Era rimasta ammaliata dall’umiltà di Walz, dalle sue umane insicurezze in questa sfida elettorale, nonché – va detto – nella sua cieca lealtà per quelli che sarebbero stati i suoi piani alla Casa Bianca. Anche lui è un governatore popolare, un politico vicino ai cittadini e ai loro bisogni, ma forse non è stato l’uomo giusto al momento giusto.
Infine, i cittadini non hanno avuto modo di conoscere Walz, entrato in corsa il 6 agosto, appena otto settimane prima dell’election day. E nelle ultime, sia lui che Harris sono stati tenuti lontani da interviste e dichiarazioni che non fossero ai comizi. Un errore fatale per entrambi.