Roma – 18 ottobre 2024 – Come fu per la guerra in Vietnam, quella in Iraq e anche la campagna in Usa in Afghanistan, ora la guerra scoppiata in Medio Oriente diventa decisiva nella corsa alle elezioni presidenziali tra Trump e Harris. Ma c’è una variabile ‘impazzita’ che può scombinare tutto: ovvero Benjamin Netanyahu. L'offensiva scatenata da Israele contro Hezbollah in Libano e l'attesa rappresaglia contro l'Iran per l'attacco missilistico del primo ottobre promettono, infatti, di dominare la fase finale della campagna elettorale Usa. Uno scenario che i democratici speravano di scongiurare e col quale oggi, invece, devono fare i conti.
Le paure dei democratici
Il presidente Joe Biden e la vice presidente e candidata alla Casa Bianca, Kamala Harris, auspicavano infatti una de-escalation in Medio Oriente o almeno che nelle ultime settimane della corsa alla presidenza le violenze potessero scendere sotto il livello di guardia, ma le nuove offensive militari israeliane – sostengono funzionari americani e collaboratori della campagna democratica – rendono questa speranza quasi impossibile. Il premier israeliano Benjamin Netanyahu, infatti, ha di nuovo incendiato la Striscia di Gaza con un'ondata di raid e ha lanciato un'operazione di terra in Libano associata ad attacchi aerei su Beirut volti ad annientare la leadership di Hezbollah.
L’incubo dell’offensiva all’Iran
Ora gli occhi di tutti sono concentrati sull'annunciato attacco all'Iran. Secondo la stampa americana, Tel Aviv avrebbe rassicurato che saranno risparmiati obiettivi nucleari e petroliferi, ma funzionari Usa non nascondono diffidenza nei confronti delle promesse dello Stato ebraico. Anche la Russia, evidenzia il sito israeliano Ynet, spinge per una risposta limitata di Israele per evitare che la crisi con l'Iran degeneri in una guerra aperta.
Biden in difficoltà
Questa rapida escalation ha messo in difficoltà l'amministrazione Biden, col risultato che gli Stati Uniti hanno prima chiesto un cessate il fuoco immediato in Libano per poi cambiare linea politica nove giorni dopo e sostenere apertamente l'offensiva di terra di Israele. Questo ripensamento ha causato confusione e sgomento tra gli alleati europei e arabi di Washington che chiedono agli Stati Uniti di frenare il loro più stretto alleato in Medio Oriente. Ma l'amministrazione sembra restia ad arrivare allo scontro con Tel Aviv in un momento politico così delicato.
La linea soft della Casa Bianca
“Vogliono evitare scontri pubblici con Netanyahu sul Libano o su Gaza che potrebbe causare una reazione negativa da parte dei sostenitori di Israele prima delle elezioni”, ha spiegato Frank Lowenstein, alleato di Biden ed ex negoziatore per il Medio Oriente nell'amministrazione Obama. “Allo stesso tempo, sono sensibili alla perdita di voti in Stati chiave degli arabo-americani”, ha proseguito. La linea 'soft' della Casa Bianca nei confronti dell’uomo forte di Tel Aviv è emersa nelle recenti dichiarazioni in risposta agli ultimi episodi che hanno suscitato unanime condanna internazionale come gli attacchi di Israele alle forze di peacekeeping delle Nazioni Unite in Libano, il bombardamento dell'ospedale al-Aqsa a Gaza. Ogni comunicato di condanna è stato calibrato con attenzione per evitare che suonasse come una brusca rottura con Netanyahu.
Il timore di rompere con Bibi
L'ultimo caso quando i media israeliani hanno rivelato il contenuto di una lettera riservata del segretario di Stato, Antony Blinken, e del segretario alla Difesa, Lloyd Austin, che esortavano Israele a consentire l'ingresso di più aiuti umanitari a Gaza, minacciando restrizioni all'assistenza militare Usa. Nel giro di poche ore dalla sua divulgazione, i portavoce della Casa Bianca e del Dipartimento di Stato hanno chiarito che la lettera “non doveva essere considerata come una minaccia”, rimandando qualsiasi potenziale azione punitiva a dopo le elezioni.
Harris ora trema
La crescente violenza in Medio Oriente ha messo in allarme la campagna di Harris, che vede nelle continue immagini di civili uccisi una possibile complicazione sulla strada verso la vittoria in Stati chiave in bilico dove vivono consistenti comunità arabo-americane e musulmane. “È una preoccupazione enorme”, ha dichiarato un consigliere della campagna. Tra i democratici, le preoccupazioni sono particolarmente gravi nel Michigan, dove vivono circa 300mila persone che dichiarano di avere origini nordafricane o mediorientali. Il percorso più chiaro per la vittoria di Harris è negli Stati del 'Blue Wall' del Michigan, della Pennsylvania e del Wisconsin, e la candidata dem ha poche possibilità di arrivare alla presidenza senza vincere lo Stato dei 'wolverines'.
Elettori arabo-americani in bilico
Eppure con l'ingresso in corsa di Harris, i dem speravano che, sottolineando la sofferenza palestinese, sarebbe riuscita a conquistare una considerevole fetta di elettori arabo-americani e musulmani delusi per l'appoggio di Washington a Israele. Ma ottenere il loro sostegno è diventato più difficile man mano che la campagna militare di Israele si è intensificata con il sostegno Usa.
La versione del presidente
L'amministrazione Biden sostiene che si sottovalutino l'impatto che ha avuto nel ridurre la portata dell'invasione di Israele in Libano, nell'aumento del flusso di aiuti umanitari a Gaza e nell'impedire una guerra su vasta scala con l'Iran.