Roma, 31 ottobre 2024 – Uno siede a tavola, vicino a Donald Trump, e lo applaude, quando il tycoon s’ingrazia il voto cattolico, asserendo di essere “scampato a due attentati per volontà di Dio“; l’altro parla alla convention dem, che ha incoronato Kamala Harris per la corsa alla Casa Bianca, la croce pettorale al riparo dai flash dei fotografi sotto il lembo destro del clergyman. Due istantanee, due cardinali statunitensi. Il primo Timothy Dolan, 74 anni, arcivescovo di New York, un passato da leader dei vescovi Usa, una quindicina di giorni fa all’Alfred E. Smith Memorial Foundation Dinner, nella Grande Mela, ha fatto gli onori di casa a Trump; il secondo, il 75enne Blase Cupich, sulla cattedra di Chicago, più apprezzato dal Papa che dai confratelli nell’episcopato americano, ha ’benedetto’ il summit dell’Asinello tenutosi ad agosto proprio nella metropoli dell’Illinois. Nessun endorsement né dall’uno, né dall’altro. Sarebbe troppo, ma, anche se non si può parlare di derby in senso stretto, Cupich e Dolan incarnano, meglio di chiunque altro, le due Americhe cattoliche a confronto in questa serrata campagna elettorale a stelle e strisce. Il primo non sale sulle barricate contro l’Eucarestia ai politici cattolici a favore del diritto all’aborto, il secondo nel 2022 è stato tra i più entusiasti, in seno all’episcopato Usa, per la decisione della Corte suprema di annullare tale diritto su scala federale.
Pro choice o pro life, sull’aborto, aperturisti o rigoristi in tema d’immigrazione, i 70 milioni di ’papisti’ rappresentano Oltreoceano la maggioranza relativa come singola Chiesa. E al loro interno sono alquanto polarizzati in un Paese entrato sì nella secolarizzazione post moderna, ma ancora con una forte impronta religiosa, protestante e non solo. Un recente sondaggio del National Catholic Reporter, autorevole testata cattolica americana progressista, è indicativo sulle preferenze dei cattolici alle prossime elezioni nei sette Swing States che determineranno, con il loro Grandi elettori, chi andrà (o tornerà) alla Casa Bianca. Il sentiment è piuttosto delineato, più repubblicano che democratico.
Trump, che cerca il voto cattolico, si mantiene agnostico sulla questione abortista e fa la voce grossa sugli immigrati (lasciandola anche fare ai suoi comici ai danni dei portoricani), ottiene il 50% delle preferenze, mentre Harris si ferma al 45%. L’attuale vice del presidente Joe Biden, se si mostra disinteressata al voto cattolico – ha preferito disertare l’ Alfred E. Smith Memorial Foundation Dinner -, non rinuncia a battersi per il diritto all’interruzione di gravidanza e per una regolamentazione degli ingressi in America, sostenendo comunque il più possibile i ricongiungimenti famigliari. Per papa Francesco entrambi i candidati alle presidenziali sono “contro la vita“, chi sui migranti, chi sull’aborto. La scelta è quella del male minore.
Per la verità i vertici dei vescovi americani sembrano da tempo aver sciolto le riserve. Non è forse un caso che l’arcivescovo Timothy Broglio, attuale presidente della Usccb, la conferenza episcopale Usa, si è affrettato a stigmatizzare gli attentati a Trump, mentre non ha speso una parola sul ritiro dalla corsa alla Casa Bianca, per evidenti ragioni umane, del democratico Biden. Come gli altri precedenti leader dei presuli americani degli ultimi vent’anni, tutti di matrice conservatrice, da Stephen Skylstad a José Gomez, anche la presidenza in carica contesta ai Dem – in termini più o meno impliciti - le posizioni assunte sui temi eticamente sensibili. A complicare il quadro, però, ci si mette la politica sfacciatamente dura dei Repubblicani sul fronte immigrazione che imbarazza un po’ i vescovi al punto da mal celare la loro scelta di campo.
Di fronte a un episcopato a lui ostile e decisamente a destra – per esempio, contro il nazionalismo fra i cattolici si è fatto sentire di recente solo il vescovo di Lexington, John Stowe, una mosca bianca –, papa Francesco ha reagito negli anni creando cardinali presuli americani ’di minoranza’. Vescovi più inclini al sociale che alla Culture war e dal piglio pastorale riformista. Cardinali come Joseph William Tobin, Wilton Daniel Gregory, Robert Walter McElroy, Kevin Joseph Farrell oppure il nunzio apostolico Oltreoceano, Christophe Pierre e lo stesso Cupich, assestato su posizioni dialogiche rispetto al tema dibattuto in America della Comunione ai politici favorevoli all’aborto, come lo stesso Biden.
Risultato, su 11 porporati Usa under 80, pallottoliere alla mano e affinità elettive comprese, Trump conterebbe sul voto ’sicuro’ di soli due connazionali: Raymond Burke, da sempre alle strette con Bergoglio, e Dolan, modi affabili, un ’conservatore creativo’ si diceva ai tempi di Ratzinger, irremovibile sui principi. Non che gli altri cardinali siano per forza filo Harris. Ovvio. Al massimo, si dice e non si dice... E la croce pettorale resta sotto, mai sopra il clergyman.