Roma, 4 novembre 2024 – Professor Mario Del Pero, Sciences Po di Parigi e università di Bologna, vede la possibilità che Trump, che già grida al “voto rubato”, se perdesse tenterebbe di mobilitare la piazza per ripetere l’assalto al Congresso?
“Ci sono delle importanti differenze rispetto al 2020, ad esempio il Congresso ha approvato delle norme che dovrebbero rendere più facile il processo di riconoscimento a validazione del voto e poi c’è il fatto che abbiamo una amministrazione democratica e gli apparati di sicurezza, il dipartimento di giustizia e le forze armate stavolta li controllano i democratici. Ma ci sono anche delle significative analogie. C’è un pezzo di Paese, non maggioritario ma tutt’altro che marginale, che, a prescindere, crede poco alla regolarità del voto e soprattutto non è disposto a crederci se il suo candidato, Donald Trump, dovesse perdere. E quindi il rischio, sì, è elevato”.
Che tipo di rischio?
“Se i sondaggi sono corretti e la differenza si gioca in pochi Stati e per poche migliaia di voti c’è il forte rischio che si debba attendere molto per avere l’esito finale. E se la parte sconfitta fosse quella di Trump credo che l’ex presidente griderà alla vittoria scippata e proverà a ripetere quanto fatto quattro anni fa mobilitando la piazza. E quindi dobbiamo prepararci a tutto. La possibilità che ci siano derive violente, quantomeno su scala locale, è molto alta”.
L’esito delle elezioni potrebbe essere deciso da una Corte?
“Non credo possa essere deciso, ma potrebbe essere ostacolato. Molto dipenderà dallo scarto tra vincitore e perdente. Se il margine fosse minimo non solo potrebbe intervenire una Corte, ma alcuni Stati potrebbero non riconoscere il voto”.
Nel caso di una mobilitazione della piazza da parte di Trump, come reagirebbero i democratici?
“L’eventualità è ben presente all’amministrazione democratica. È presumibile che nella Capitale ci possa essere un atteggiamento meno tollerante anche meno inefficiente rispetto a quarto anni fa. A livello federale gli apparati sono stati allertati e poi sappiamo che tre Stati hanno già mobilitato la Guardia nazionale e altri potrebbero farlo”.
Le denunce di Trump sui presunti brogli attuati o programmati sono, come nel 2020, solo fake news o può esserci del vero?
“Che in molti Stati ci siano pochi controlli sull’identità del votante è un po’ una leggenda, basti pensare che bisogna registrarsi nelle liste elettorali e molti altri Stati hanno introdotto l’obbligo di portare un documento al seggio. Quella di brogli ampi e diffusi è comunque una circostanza smentita dalla realtà. Non vi sono prove di brogli su larga scala come sistematicamente denuncia Trump, che irresponsabilmente cavalca questa narrazione determinata, mi spiace dirlo, dal suo analfabetismo istituzionale”.
Se vincesse Trump dobbiamo attenderci una America che vada verso una “democrazia illiberale”, una sorta di sovranismo orbaniano?
“Il presidenzialismo americano non è un sistema presidenziale forte, la Casa Bianca condivide i poteri con il governo, con il Congresso e con i 50 Stati. Certo, se dovesse vincere Trump e ci fosse un Congresso controllato in entrambi i rami dai repubblicani, Trump avrebbe dei poteri ampi. E in questo caso i rischi di una deriva illiberale e di scontri istituzionali tra potere federale e Stati sarebbero reali anche perché una seconda amministrazione Trump sarebbe molto più coesa e radicale di quanto non fu la prima. Entreremmo in una terra incognita”.