Roma, 28 ottobre 2024 – La neutralità si paga a caro prezzo: ecco quello che sta affrontando il leggendario WP, un’ondata di fortissime polemiche. Non si ferma, infatti, la bufera al Washington Post per la decisione, annunciata a sorpresa dal suo editore William Lewis, che il giornale non avrebbe dato, interrompendo una tradizione decennale, il suo sostegno a uno dei due candidati alla Casa Bianca.
Il racconto sui social
E’ lo stesso Washington Post a raccontare come nel weekend sia cresciuta sui social media la protesta dei lettori, che pubblicano gli screenshot della cancellazione degli abbonamenti. E il movimento #BoycottWaPo comprende nomi illustri come gli attori Jeffrey Wright e Bradley Whitford. A protestare è principalmente “la sinistra americana, infuriata per la notizia che gli editorialisti del giornale aveva già preparato l'articolo di endorsement per Kamala Harris”, si legge nel testo, che registra anche che continuano le proteste in redazione.
Editorialisti in fuga
Dopo Robert Kagan, un'altra editorialista Michele Norris ha annunciato la “difficile decisione” di non collaborare più con il giornale. E sono diventati 19 gli editorialisti che hanno firmato una colonna in cui si condanna la decisione come “un tradimento delle convinzioni del giornale che amiamo”, parlando di una scelta in queste elezioni tra “valori democratici” e “la minaccia che Trump costituisce per loro”.
Il ruolo di Jeff Bezos
I media americani, compreso il Post, hanno scritto che la decisione sul mancato endorsement è stata presa direttamente da Jeff Bezos, il patron di Amazon che dal 2013 è proprietario della storica testata di Washington. Sia nel 2016 che nel 2018 il Post si era schierato contro Donald Trump, e il giornale, e anche il suo proprietario, era stati nel mirino delle esternazioni del tycoon per tutta la sua presidenza.
Dopo l'annuncio di venerdì, e l'ondata di polemiche e proteste, Lewis, editore della testata dallo scorso novembre, ha cercato di giustificare la scelta come un modo per tornare «alle radici» del giornale, che ha cominciato a dare gli endorsement nel 1976, e ieri ha diffuso una dichiarazioni per smentire le voci che la decisione di Bezos sia tesa a favorire Trump: “La decisione di mettere fine agli endorsement è stata totalmente interna, senza avvisare o consultare e campagne o i candidati a nessun livello. Qualsiasi notizia di senso contrario è incorretta”.
L'editore ha dovuto anche replicare alle proteste dei giornalisti, ribadendo di considerare “sbagliato che un giornale indipendente debba dire ai propri lettori cosa votare alle elezioni presidenziali”, come ha scritto in una mail, sfidando poi a controllare “l'edizione di oggi del nostro giornale o il nostro sito, per vedere se ci siano ragioni di preoccuparsi”.
L’emorragia di lettori
Da parte loro, i giornalisti del Post esprimono preoccupazione per il fatto che questa vicenda stia facendo scendere, dopo un ripresa nei mesi scorsi, il numero delle sottoscrizioni, cosa colpisce il lavoro dei giornalisti e non i vertici. “Non posso parlare delle decisioni prese dal nostro proprietario e dall'editore, ne capisco poco come voi – ha scritto ai lettori su X Sarah Kaplan, una delle rappresentanti sindacali del Post –, ma vi posso promettere che la redazione del Washington Post rimane impegnata nel nostro lavoro, nel dire la verità con chiarezza e umanità. Per tenervi informati, a tutti i costi”.
Repubblicani e democratici all’attacco
Dalla politica arrivano attacchi a Bezos, con Bernie Sanders che l'accusa di avere “paura di inimicarsi Trump e perdere i contratti federali per Amazon”. Anche per la repubblicana anti Trump, Liz Cheney, ora alleata di Kamala Harris, il fatto che Bezos abbi evitato “di pubblicare l'endorsement per l'unica candidata che è un'adulta stabile e responsabile perché ha paura di Trump. Ci dice perché dobbiamo lavorare così sodo per non far eleggere Trump”.