A notte inoltrata l’unico dato certo sull’esito delle elezioni presidenziali statunitensi è l’incertezza. Attesa e manifesta in un Paese in bilico fra la possibilità storica di far entrare la prima donna alla Casa Bianca e quella di rimettere il bastone del comando in mano a chi sepellisce i resti della Guerra fredda sotto una malcelata e controversa cordialità con la democratura di Vladimir Putin. Ma l’America del Day after elettorale è soprattutto "un Paese polarizzato", così come esce dalla fotografia dell’analista statunitense Erik Jones, direttore del Robert Schuman Centre for Advanced Studies at the European University Institute.
È una spaccatura profonda quella Oltreoceano?
"Sì, è una frattura che separa le aree urbane da quelle rurali, le coste dall’interno, i religiosi dai più agnostici. A dividersi sono anche giovani e anziani, uomini e donne, bianchi e non bianchi, persone con istruzione universitaria e soggetti con un’istruzione meno convenzionale".
Gli Usa come usciranno da queste elezioni?
"Il Paese per molti versi si sta rivoltando su se stesso. Sarà difficile ricomporre questo tipo di divisione".
Teme più i brogli elettorali, paventati da Donald Trump, oppure il rischio d’incidenti e aggressioni denunciato dai democratici?
"La violenza da parte dei sostenitori del tycoon è più pericoloso. Questo è stato vero il 6 gennaio 2021 e resta tale anche adesso".
Gli elettori repubblicani sono più a disagio dei dem con le regole della democrazia?
"In tanti hanno perso fiducia nel sistema democratico americano. Un quarto di loro considera ancora oggi un furto la vittoria di Joe Biden nel 2020. Se Trump dovesse perdere, la loro percezione potrebbe ulteriormente esacerbarsi. Quello repubblicano è un elettorato molto rurale e chiuso".
In caso di affermazione dei democratici, c’è la possibilità di una nuova Capitol Hill come tre anni fa?
"Non so se questo potrà ripetersi. Per Harris, anche se vincesse, la strada non sarebbe agile. Qualora si aggiudicasse la presidenza e ottenesse la maggioranza alla Camera, avrà comunque difficoltà a mantenere il Senato".
E, se a prevalere fosse Trump, potrebbero esserci delle contestazioni legali?
"Vi saranno sfide di questo tipo da entrambe le parti, qualunque sia il risultato. È più probabile tuttavia che Harris ceda il passo con garbo rispetto a Trump".
Quanto tempo ci vorrà per avere un quadro chiaro sull’esito di queste elezioni?
"Questo non si può dire con certezza. Più lunghi saranno i ricorsi, più durerà l’attesa. Ma ci sono scadenze rigorose: entro il 6 dicembre sarà risolto tutto".
Che voto dà a questa campagna elettorale?
"Quella di Harris ha superato tutte le aspettative, considerando che è iniziata in una situazione senza precedenti. Sin dall’inizio ha evitato di attaccare l’avversario a dispetto dello stesso Trump. La campagna del tycoon, invece, si è in gran parte sciolta da quando Biden si è ritirato. Il fatto che continui a detenere un’ampia fetta dei voti riflette, però, la forza del suo fascino personale".
L’Europa e il mondo possono permettersi un clima così incerto sull’esito del voto Usa?
"Solo se la politica americana fosse davvero la principale fonte di incertezza... L’incertezza degli Usa è reale, ma anche Russia e Israele rappresentano sfide enormi. Mi dispiace poi per l’Iran e la Corea del Nord. E anche l’incertezza proveniente dalla Cina sta cambiando la geopolitica".