
Le bandiere dell'Europa Unita in piazza del Popolo alla manifestazione dove si è fatto riferimento al Manifesto di Ventotene
Ventotene è lontana. Anche se il passato torna spesso, il suo uso parla al presente. Il Manifesto di Ventotene non fa eccezione, è incomprensibile senza il confronto con il regime e con la guerra. Gli autori, personalità del socialismo liberale erano al confino, ma osservavano l’Europa in fiamme. Nel 1939 il nazionalsocialismo e il comunismo si erano alleati, Hitler aveva poi conquistato gli Stati liberali, iniziando la guerra contro Stalin e contro gli Usa (diventati così alleati).
L’Europa delle nazioni ottocentesche fu stritolata e crollò. Gli autori interpretarono il Manifesto come una risposta a quella crisi epocale. Pensarono a un Parlamento e a un governo europeo, ma anche a idee socialiste; il punto di forza era l’idea federale, capace di far coincidere dimensione internazionale e nazionale.
Il tempo storico andava in altre direzioni, la visione era importante, la realtà impossibile.
La guerra divise l’Europa. A Occidente si costruirono democrazie libere e avanzate, protette dagli Usa con la Nato. Nell’Europa orientale si passò dalla violenza nazista ai regimi comunisti (sotto il controllo dell’Urss).
Nell’area democratica prese però quota un progetto europeista, attraverso la progressiva e complicata integrazione di Stati indipendenti. Il Manifesto, come tanti altri documenti e interventi, restò tra le molte basi intellettuali dell’europeismo. Solo nel 1989, con la fine dei regimi comunisti, l’unione dell’Europa liberale diventò realtà. Si diede vita a una alleanza di Stati per il benessere, attraverso la condivisione dei valori democratici-liberali, una dimensione economica e uno spazio culturale comuni.
L’Europa però rinunciò alla forza, come e più che nella Guerra Fredda, delegando la difesa militare e la funzione globale agli Usa. Nel frattempo l’emigrazione e la crisi del Welfare consentirono l’aggressione dei populismi radicali di destra e sinistra. Putin, Trump, oggi Erdogan hanno imposto un passo nuovo.
Si tratta, ancora una volta, di un passaggio cruciale: popolari, socialisti, liberali, conservatori (insieme all’Inghilterra), si sono uniti con una prontezza sorprendente, nell’ottica del coordinamento militare (a breve dovrà fare i conti con il nucleare), l’integrazione energetica, digitale, industriale. All’ordine del giorno non c’è il Manifesto, che appartiene alla Storia e in quella prospettiva va letto, ma la forza brutale del nostro tempo. Se all’epoca De Gasperi, Saragat, Einaudi e tanti altri fecero dell’Italia un baluardo dell’Europa democratica e dell’Occidente liberale, oggi si verificherà quanto le classi dirigenti attuali siano capaci di una sfida della stessa portata.