Lunedì 18 Novembre 2024
MICHELE BRAMBILLA
Editoriale e Commento

Ma non è solo odio razziale

Si può anche liquidare la rivolta di Torre Maura come una manifestazione di odio razziale, come ha detto la sindaca Virginia Raggi; e magari anche come l’opera di una squadraccia fascista, come ha titolato qualcuno. Si può farlo, è perfino facile e pulisce la coscienza. Ma così non si risolve il problema, anzi non lo si capisce, anzi ancora non lo si vuole capire. Un giornalista – oggi più che mai, nell’era dell’approssimazione dei social – ha il compito di andare a vedere e di ascoltare tutti senza pregiudizi.

Questo ha fatto ieri il nostro Giovanni Rossi, che è andato a Torre Maura, dove i residenti si sono ribellati alla notizia dell’arrivo di una settantina di rom. E che cosa ha visto, il nostro cronista? Un quartiere forse non tra i peggiori di Roma, ma un quartiere difficile, a 11 chilometri dal Campidoglio e a 12 da Frascati, una periferia insomma, e una periferia in sofferenza. Cercare di interpretarla o peggio ancora giudicarla stando in centro non è molto intelligente, né onesto. Chi ha gettato a terra i panini dell’assistenza, e chi peggio ancora ha dato fuoco ai cassonetti dell’immondizia, non è difendibile, va denunciato e punito. Ed è certamente vero che tra chi protestava c’erano pure i fascisti di CasaPound.

Ma non è vero che eran tutti fascisti, né ch’eran tutti razzisti, visto che la gente del quartiere non aveva accolto male altri stranieri, fino a poco tempo fa. Non sono tutti fascisti e razzisti ma sono tutti esasperati, perché l’insicurezza non è solo percepita, e l’abbandono da parte dell’amministrazione pubblica non è la solita lamentela all’italiana: se si mandano 77 persone di notte – questo ha fatto il Comune – si dà l’impressione di avere qualcosa da nascondere. La gente di Torre Maura è la stessa gente di tante periferie italiane, che soffre per degrado e delinquenza. Anni fa, a Milano, una notissima collega teneva appeso dietro la scrivania un poster del Leoncavallo. Un giorno la sentii telefonare alla polizia per chiedere di far sloggiare, dai dintorni di casa propria, i rumorosi ragazzi di un altro centro sociale. Ecco, è questa gente che poi consegna i poveri delle periferie a CasaPound.