Roma, 9 novembre 2024 – Amsterdam è, tragicamente, anche la città di Anna Frank: la sua casa è diventata un museo per non dimenticare. Ad Amsterdam l’Ajax è la squadra di calcio del ghetto ebraico: aveva il suo quartier generale infatti nello Jodenbuurt e tuttora i suoi tifosi, in giro per l’Olanda, vengono apostrofati in maniera poco sarcastica e molto razzista (e antisemita) come "giudei". Viene da chiedersi, a questo punto, come possa essere successo proprio in quella città ciò che abbiamo visto l’altra notte: una caccia agli ebrei, con l’aggressione ai tifosi del Maccabi Tel Aviv subito dopo la partita in Europa League. Un raid, forse premeditato ma non ordito dai tifosi dell’Ajax (che portano in curva simboli ebraici e bandiere israeliane) e preso seriamente da tutti: in primis da Netanyahu che ha evocato pogrom e la Notte dei Cristalli e ha inviato due aerei per caricare a bordo i tifosi israeliani e riportarli a casa.
Che ci sia un’ondata di antisemitismo in tutt’Europa è evidente e preoccupante. Nel complicato scenario però che ci si para davanti, diventa inevitabile ragionare a poco più di un anno dal 7 ottobre che il calcio – e lo sport più in generale, ieri sera a Bologna era in programma una partita di basket tra Virtus e Maccabi Tel Aviv con gli israeliani scortati al Palazzetto – sia diventato un fronte avanzato della guerra in Medio Oriente. Con tutti i rischi del caso e tante micce corte, prese a pretesto, pronte a incendiarsi. Ci sono molte tifoserie in Europa che sostengono la causa palestinese ma che si limitano (come è successo in Paris Saint Germain-Atletico Madrid) a esporre degli striscioni. C’è poi però quello scarto significativo tra il manifestare sostegno alla Palestina con striscioni non necessariamente negli stadi e la violenza. Una violenza che non può non connotarsi come antisemita quando viene accompagnata da cori contro gli ebrei. E questo non può che allarmare in Europa.