Roma, 24 novembre 2024 – Era diffusa la convinzione che con la vittoria di Donald Trump si potessero determinare almeno le condizioni per una exit strategy dalla guerra in Ucraina. L’escalation putiniana di queste ultime settimane, post voto americano, va in tutt’altra direzione e, combinata con la reazione di Joe Biden e di larga parte dei capi di governo dell’Europa, rimette il mondo sul ciglio del burrone di quello che sarebbe un drammatico e, forse, finale conflitto mondiale. Possiamo anche ritenere che quella dello zar sia la mossa azzardata per conquistare posizioni prima di sedersi al tavolo negoziale del nuovo presidente Usa. E, ugualmente, si può sostenere che le contromosse dell’attuale amministrazione di Washington e di molti leader europei siano dettate dall’idea di contenere il piano russo.
Eppure, questa interpretazione non solo non rassicura, ma non esclude il "peggio". Anzi. "Non dobbiamo dimenticare – avvisava qualche mese fa un acuto politico e un raffinato analista come Marco Minniti – che stiamo danzando sul filo del rasoio perché il rischio di una precipitazione, purtroppo, c’è sempre. Non perché qualcuno la voglia ma perché il rischio di errore è altissimo. Come lo è quello del sonnambulismo delle leadership politiche che portò alla Prima guerra mondiale".
Lo descrive e lo racconta bene, quel sonnambulismo, Christopher Clark nel bellissimo libro "I sonnambuli", "The Sleepwalkers: How Europe Went to War in 1914", in cui spiega come gli Stati europei precipitarono in maniera preterintenzionale nella Prima guerra mondiale. "Nessuno voleva la guerra – insiste Minniti – solo che ogni Stato era prigioniero delle sue radicalità, con la spinta a arrivare alle estreme conseguenze, senza mettere nel conto la guerra, che, invece, arrivò". La lezione della Grande Guerra è lì sullo sfondo, a ammonirci, ma non è detto che la si voglia tenere a mente.