Con tutti i problemi che abbiamo, ieri un nutrito gruppo di parlamentari si è incaricato (riuscendovi) di far rinviare il derby Juventus-Torino del 4 maggio, perché il 4 maggio è il 70esimo anniversario della sciagura di Superga. Per una volta, stiamo con i politici. E oggi raccontiamo questa piccola grande storia perché dimostra che nulla è più forte dei sentimenti. Anche nel calcio, anche in politica
Il Toro è segnato come nessun altro da una sfortuna che è al tempo stesso la sua maledizione e il suo fascino. Dicono, e non so se sia vero o sia leggenda, che la jella fece la propria comparsa perfino nel primo derby, che pure fu vinto - per due a uno - sul campo del Velodromo Umberto I, il 13 gennaio del 1907. Infatti. Alla fine del primo tempo, i bianconeri erano in vantaggio per uno a zero (su rigore, pare). Nell’intervallo, il presidente granata andò in bagno. Poi, fatto quel che doveva fare, non riuscì ad aprire la porta della spartanissima toilette, e cominciò a gridare, e a battere pugni sulla porta: ma il secondo tempo era già cominciato, e il frastuono del tifo coprì quella richiesta di aiuto. Così, il presidente torinista – liberato solo a fine partita – si perdette i gol della rimonta.
Meno divertenti, e del tutto certe, sono invece le altre disgrazie abbattutesi poi, quasi a intervalli regolari, sull’Associazione Calcio Torino, poi divenuta Torino Football Club. Quella del 4 maggio 1949 è certamente la più grave e più nota. L’aereo che riportava in Italia - da Lisbona - la squadra di calcio forse più forte del mondo precipitò a Superga, sui colli di Torino, in un’infame giornata di pioggia e di vento. Non si salvò nessuno: Valentino Mazzola, Loik, Bacigalupo, Gabetto, Ossola, Castigliano... I funerali - in una Torino spettrale, con le bare portate dai camion della Fiat e un’immensa folla in giacca e cravatta - restano nella memoria come una delle più significative immagini dell’Italia in bianco e nero del primo dopoguerra, un’Italia povera di soldi ma ricca di dignità.
Massimo Gramellini, grande tifoso granata, dice che se qualcuno scrivesse per un regista cinematografico il soggetto della storia del Toro, si sentirebbe rispondere che è troppo fantasioso per essere vero. Eppure. Sapete come si chiamava il pilota dell’aereo di Superga? Gigi Meroni, proprio come la formidabile ala destra (“la farfalla granata”) morta investita da un’auto a Torino, in corso Re Umberto il 15 ottobre 1967. E sapete chi fu l’investitore? Un super tifoso dello stesso Meroni, che molti anni dopo sarebbe diventato (invero, anche qui senza molta fortuna) presidente del Torino. È una storia di un quasi paradossale dolore: ma un dolore che ha temprato un popolo orgoglioso e felice di non stare (quasi) mai dalla parte dei vincitori. Così sono i tifosi e così sono anche i giocatori, perché da sempre chi veste quella maglia è preda di quel che Giampaolo Ormezzano chiamava «il tremendismo granata»: cioè una voglia, una forza, una grinta.
La politica che si mobilita per lasciare il 4 maggio alla commemorazione di Superga ci testimonia una realtà spesso sottovalutata: e cioè che sono i sentimenti i veri motori della storia: non la politica stessa, non i soldi, non gli eserciti. Il mondo del calcio ne è una piccola - ma simbolicamente fortissima - prova. Perché si può cambiare partito, religione e moglie, ma nessun vero tifoso può mai cambiar squadra. Una volta si diceva che di mamma ce n’è una: oggi, con l’utero in affitto, neppure questo è più vero. Resta solo, fra gli amori certi e indissolubili, il colore di una maglia, una ricorrenza da celebrare più importante di un derby da giocare