Bologna, 29 settembre 2024 – È una bambina della guerra, Giovanna. Lo è stata e lo sarà per sempre, ancora oggi che ha 84 anni e che i suoi ricordi ci hanno riportato, in queste pagine, alla storia di suo padre torturato e poi ucciso dai nazifascisti, il 29 settembre del 1944, il giorno in cui iniziò Marzabotto: la strage e le sue macerie, lo spartiacque che ha segnato un prima e un dopo, nella storia di questo nostro Paese. Di tutte le sue paure, di tutti gli incubi di Giovanna Monti, uno è quello che mi ha colpito di più: “C’è tanto odio – ha detto –, troppo odio. E non voglio neppure pensare di poter vedere un’altra guerra”.
Marzabotto, ottant’anni dopo. Mentre commemoriamo l’eccidio, tutti noi, come Giovanna, ci chiediamo a che cosa sia servito quel dolore, nei giorni in cui una nuova guerra così vicina e così lontana consuma i suoi quotidiani orrori sotto i nostri occhi smarriti e impotenti. A che cosa siano serviti quei lutti e quei morti, i nostri lutti e i nostri morti, se non sono stati capaci di insegnarci alcunché. “La storia non è magistra di niente che ci riguardi”, scriveva Montale in una bellissima poesia intitolata proprio La Storia. Forse aveva ragione? La storia, è evidente, non ci insegna nulla, altrimenti non ci troveremmo ancora allo stesso punto, sull’orlo di quel precipizio che segna il confine tra l’umanità e la sua negazione. Quanto sta accadendo in Medio Oriente ce lo ricorda una volta di più. Eppure la Storia non è inutile, così come i morti di Marzabotto non sono stati inutili.
Se oggi siamo una nazione, un popolo, una patria, ebbene, il fondamento di ciò che siamo e di ciò che siamo diventati, il cuore della nostra imperfetta e meravigliosa Repubblica sta soprattutto lì, in quelle case e in quelle chiese sventrate che ci restituiscono, nella dignità di questo santuario laico, il significato più profondo del nostro passato, e anche del nostro presente. La sentinella e la guida di ciò che adesso vogliamo essere, e di ciò in cui adesso vogliamo credere: oggi che la storia con le sue guerre bussa di nuovo alle nostre porte, è Marzabotto che può indicarci la strada da intraprendere, e soprattutto la parte da scegliere. Perché se non si può fare la morale alla cronaca, è un nostro dovere riconoscere una morale alla Storia. E la Storia ha sempre una parte giusta e una parte sbagliata, ha sempre un senso più grande a cui possiamo ricondurre le nostre piccole vite.
Lo ritroviamo, quel senso, proprio nei morti di Marzabotto e nei suoi sopravvissuti, nella loro sofferenza e nel loro coraggio, nella loro sete di giustizia inesauribile, generazione dopo generazione, perché è una giustizia che chiama in causa l’umanità e la sua ferocia, la pietà e il proprio contrario, l’aberrazione e la speranza. È qui, in queste case e in queste chiese, su queste pietre e su queste lapidi, il cuore della democrazia che ci è stata donata, e che ancora abbiamo il privilegio di abitare.
Sulle macerie del più grande eccidio nazifascista della Seconda guerra mondiale si sono fissati i cardini della Costituzione: pace, uguaglianza, dignità, e soprattutto giustizia. Ecco dunque che cosa celebriamo oggi, celebrando Marzabotto: la nostra casa comune e la nostra Italia, l’unica in cui possiamo riconoscerci, tutti quanti, cittadini e fratelli.