Venerdì 9 Agosto 2024
MATTEO MASSI
Editoriale e Commento

Se postare viene prima di vivere

Julius Hendricks critica l'ossessione per la condivisione digitale, sottolineando come ciò possa compromettere la qualità delle nostre esperienze e la nostra salute mentale.

clubhouse app icon on smatphone screen surrounded by other social media apps and user run clubhouse. Clubhouse drop-in audio chat social media network

Social network (GettyImages)

Sette anni fa Julius Hendricks era un 24enne che studiava letterature comparate all’Università di Bonn. Lui, da nativo digitale quale è, scrisse un libro che era invece un elogio alla vita analogica. E per sostenere come l’esperienza (senza letteralmente alcun tipo di mediazione) dovesse avere sempre la precedenza sulle nostre vite, citò un paio di esempi che varrebbe la pena ricordare ora, dopo aver letto questo rapporto di Confcommercio. Per ogni piatto di spaghetti, un post e (a stare larghi) almeno un migliaio di like. Nelle cassette di posta tre lettere e decine di pacchetti Amazon. Ma lo snodo della riflessione di Julius sta qui: "Ogni istante, ogni esperienza oggi va condivisa e commentata. Ma con questo bisogno di documentare sempre tutto, non aumenta anche la vaghezza di ciò che viene documentato? E in parallelo non aumenta anche il disinteresse per ciò che viene documentato? Quel che resta è una quantità di tempo sprecato e una montagna di spazzatura informatica".

A questo punto non è solo una questione culturale, ma anche una questione di salute. E quest’ultima non si misura esclusivamente nella preferenza che diamo agli oggetti tecnologici, smartphone in primis, rispetto a una scelta più critica del cibo che è sostentamento del corpo. La salute è anche quella mentale nel momento in cui percepiamo (appena stacchiamo gli sguardi dai nostri schermi) l’impossibilità di vivere (e di godere) l’essenza stessa dell’esperienza (tanto che non riusciamo a sentirla come unica), se siamo ossessionati dal raccontarla per stories e post prima ancora di averla vissuta o mentre la stiamo vivendo. La domanda sembra fin troppo banale, quasi da trattenerla in gola, ma poi dando un’occhiata a questi dati bisogna farla: ha senso tutto questo? E soprattutto ne vale la pena?