Molti anni fa, su un muro di Brescia, una mano anonima tracciò una scritta diretta ai politici: "Basta con i fatti. Vogliamo promesse". Quando, parecchio tempo dopo, ricordai su un giornale quella battuta – che era degna d’un Flaiano – una vecchia volpe della Prima Repubblica come Cirino Pomicino mi telefonò per dirmi che non riusciva a smettere di ridere.
Un colpo di spray aveva messo a nudo l’ipocrisia, o forse sarebbe meglio dire la cialtroneria, di tante parole a vuoto pronunciate durante le campagne elettorali. Il tempo sembra aver non migliorato, ma peggiorato la situazione. Ormai si promette di tutto non solo prima di essere eletti: ma anche dopo. Non c’è praticamente giorno in cui chi è al governo non annunci, non faccia presagire, non comunichi l’imminente cambiamento in meglio. Ieri Di Maio ha fatto sapere, ad esempio, che abbasserà il canone Rai: un piccolo passo indietro, in fondo, visto che un anno fa aveva promesso di abolire la povertà. Il suo sodale Salvini aveva invece promesso l’espulsione di seicentomila clandestini e le ruspe sui campi Rom. D’altra parte i Dioscuri sono solo due vice: il loro capo, il presidente del Consiglio Giuseppe Conte (che pure è il più serio e moderato della compagine di governo) poco dopo i botti di mezzanotte aveva garantito che il 2019 sarebbe stato "un anno bellissimo".
Noi dei giornali non siamo però innocenti: anzi siamo complici. Facciamo – sciagurati noi – da megafono alla propaganda dei politici, diamo ampio spazio – ogni giorno – a promesse, rassicurazioni, imperativi categorici, solenni assicurazioni. Per mesi abbiamo parlato tutti (chi più chi meno, in verità) di come e quanto sarebbero scese le tasse, di come cambierà il processo civile e penale, e così via. I politici sono in realtà più furbi di noi: ci usano per farsi una campagna elettorale permanente.
Per quanto riguarda questo giornale, non ci stiamo più. Siete al governo? Fate, invece di parlare. Quando avrete abolito il canone Rai, la povertà, i terremoti, la grandine e la morte, ne daremo notizia.