Lunedì 2 Dicembre 2024
AGNESE PINI
Editoriale e Commento

Perché il lavoro torni a essere il nostro riscatto

Il lavoro ha perduto la dimensione della rivincita, dell’ambizione o anche solo della soddisfazione personale. E i ventenni non sanno più se potranno progettare la loro vita

Agnese Pini

Agnese Pini

Perché lavoriamo? Sembra una domanda assurda, mi rendo conto. Ma è la domanda intorno a cui ruota tutto, ogni ragionamento e anche ogni politica che riguardi la nostra complicata contemporaneità, ed è una domanda che ha senso riproporre oggi, alla vigilia del primo maggio.

Per provare a rispondere abbiamo deciso di raccontare due storie, su queste pagine: parlano di ragazzi e dei loro sogni. C’è la storia di Giorgia che ha 27 anni, si è diplomata all’artistico, si è specializzata per fare la truccatrice, si è trasferita a Milano. Giorgia che ha fatto mille tentativi, mille acrobazie nell’economia di una quotidianità senza sbocchi. Ora si dice felice con un contratto da apprendista: meglio del nulla di prima. E poi c’è la storia di Vittorio, che di anni ne ha 25 e una laurea in Fisica. Che voleva fare il dottorato, ma la sua borsa di ricerca da 500 euro non gli consentiva di pagare l’affitto. Così, alla fine, ha rinunciato.

Le storie di Giorgia e Vittorio ci dicono la stessa cosa, e cioè che il lavoro ha perduto la necessaria dimensione della rivincita, dell’ambizione o anche solo della soddisfazione personale. La dimensione che rappresenta la risposta più convincente alla domanda iniziale: perché lavoriamo? Non solo per sopravvivere. Il balzo che il nostro Paese ha fatto nella magica era del boom economico è stato possibile anche perché per quella generazione il lavoro non fu percepito solo come mera necessità, ma come occasione di riscatto sociale. Così i ventenni di oggi sanno che il punto è questo: e cioè che manca la speranza. I ventenni sanno bene che – a differenza dei loro genitori – non invecchieranno più ricchi di come sono nati, che forse non avranno una pensione e se l’avranno non sarà adeguata. I ventenni oggi non sanno se potranno permettersi dei figli, e se potranno progettare una vita: non una vita qualsiasi e alla giornata, ma una vita che piaccia, che si possa immaginare simile a quella che avevano sognato per loro stessi. Il punto è che di lavorare deve valerne la pena, e che nessuno sa dire, oggi, se ne varrà mai davvero la pena.