Roma, 16 giugno 2024 – È un bilancio, quello del G7 italiano di Borgo Egnazia, nel quale le luci e le ombre (e la prevalenza delle prime o delle seconde) si vedono o scompaiono a seconda dall’angolo visuale da cui ci si mette. Se ci si pone dal punto di vista di Giorgia Meloni, il conto finale è più che favorevole per lei. La premier ha dimostrato di sapere e di potere dare le carte sullo scenario europeo e internazionale. Assistita e supportata da una sherpa d’eccezione (l’ambasciatrice Elisabetta Belloni, attuale capo dei servizi segreti italiani), è riuscita a trasformare il vertice in un G9, con l’eccezionale presenza di Papa Francesco e quella di Volodymyr Zelensky, per non dire di tutti gli altri ospiti di peso, che una volta si sarebbero chiamati “non allineati” e oggi si definiscono Brics: da Lula a Milei, da Modi a Erdogan, fino a una significativa rappresentanza dell’Africa.
Lo zar di Mosca deve essersi sentito molto più solo e isolato di fronte al mondo radunato in Puglia, ma, soprattutto, ha dovuto subire un’intesa che sembrava impossibile: quella sull’utilizzo a favore di Kiev dei profitti derivanti dagli asset russi congelati. E, dunque, sull’Ucraina il risultato del G7 è più che rilevante.
Si può discutere, invece, l’esito del summit per il capitolo dei temi etici (aborto e diritti Lgbtq) sui quali è deflagrato lo scontro tra Meloni e Emmanuel Macron. Ma, anche in questo caso, se ci
si pone solo dal punto di vista della premier italiana, la conclusione, minimalista e reticente, è quella che ha voluto Palazzo Chigi, ben sapendo che, a differenza del versante ucraino, parliamo di una partita tutta ideologica, perché le scelte vere in materia competono agli Stati e le dichiarazioni di un consesso internazionale sono solo di indirizzo. Il punto è che dietro la contesa tra Italia e Francia sull’aborto c’è la partita delle nomine in Europa nel mezzo del caos politico d’Oltralpe: peccato, però, per Macron, che, più che con Meloni, dovrà fare prima i conti con Marine Le Pen.