Pochi lo sanno, ma quella dei satelliti è anche una bellissima storia italiana. Che merita di essere ricordata oggi più che mai, mentre la sfida dello spazio è tornata centrale, controversa, urgente, per decidere il destino non solo delle nostre comunicazioni, ma della stessa sicurezza nazionale. Il protagonista della storia si chiama Luigi Broglio, ingegnere visionario, e cioè capace di credere nei propri sogni con la determinazione e la fantasia del genio. Fu grazie a lui che l’Italia, nel 1964, lanciò in orbita il suo satellite - il “Progetto San Marco” - regalandoci un record mondiale: prima nazione a farlo, dopo Usa e Urss.
Storia, appunto.
Oggi, sessantuno anni dopo, di quell’avventura straordinaria non è rimasto, sostanzialmente, nulla. L’Italia e l’Europa non sono riuscite a sviluppare una costellazione satellitare capace di garantire una via d’accesso indipendente e protetta non solo per le comunicazioni personali, ma soprattutto governative, dunque legate alla difesa, all’industria, alla finanza: all’ossatura stessa di ciò che sorregge le condizioni minime di autonomia e sicurezza di una nazione.
In questo scenario entra a gamba tesa la notizia che ha condizionato le cronache dell’ultima settimana: il contratto miliardario (1,5 miliardi di euro in cinque anni, secondo le indiscrezioni anticipate da Bloomberg) che l’Italia potrebbe stipulare con Starlink, il sistema di satelliti a bassa orbita firmato SpaceX, e cioè Elon Musk: ombra di Donald Trump, “amico” di Giorgia Meloni - come lei stessa ha ribadito nella conferenza stampa di inizio anno - e padrone di un sistema da circa settemila satelliti.
Giusto, pericoloso, inevitabile? Partiamo da una premessa: oggi non esiste una sostanziale alternativa a Starlink. La risposta europea, nome di battaglia Iris2, non sarà pronta prima del 2030, secondo le previsioni più ottimistiche. Un tempo troppo lungo per stare al passo con le sfide che al momento prendono nella morsa un Occidente insidiato da guerre, ingerenze informatiche - pensiamo al pesantissimo attacco hacker delle ultime ore - e vere e proprie minacce alle nostre democrazie. Sono sufficienti, questi rischi, per consegnarci nelle mani di un magnate come Musk, personalmente impegnato anche nel governo degli Stati Uniti? Il tema sollevato è giusto e serio, ma la domanda è in realtà mal posta: la debolezza principale di questa operazione risiede - ben prima che nel giudizio che possiamo avere su Musk - nel desolante ritardo dell’Unione e nella sua incapacità di intestarsi la regia di trattative delicatissime, in cui i singoli governi rischiano di farsi schiacciare. Travolti da logiche di mercato troppo insidiose quando, appunto, parliamo di temi legati alla sicurezza e all’indipendenza delle nazioni.
Il problema non sono tanto gli Stati Uniti, ma sono soprattutto la Cina e in rapida progressione l’India, prontissime a entrare in partita per conquistare spazi di cielo, e di potere, anche a discapito del nostro fragile e vecchio continente. Il vero pericolo è dunque quello di trasformarci noi stessi in satelliti, in tal caso politici, di logiche e Paesi a cui non possiamo cedere quote di autonomia con troppa leggerezza. E senza le necessarie garanzie. Ci vorrebbe visione, e cioè determinazione e genio - come quelle del nostro Broglio - ma soprattutto ci vorrebbero condizioni che oggi sfumano sempre di più sulla scia di un’Europa debole, frammentata e stanca. Impreparata al presente, figuriamoci al futuro.