
La premier e leader di Fratelli d'Italia, Giorgia Meloni e la segretaria del Pd, Elly Schlein
C’è una linea di ambiguità di fondo che accomuna in queste settimane Giorgia Meloni e Elly Schlein e che incide, sia pure con effetti differenti, sul posizionamento europeo e internazionale dell’Italia. Oltre che sugli assetti dei rispettivi partiti e coalizioni.
La premier si trova al centro di una duplice sfida: tenere insieme una maggioranza che vede la presenza di due vicepremier su posizioni opposte: Matteo Salvini, dichiaratamente anti-europeista e trumpiano, che considera Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen due guerrafondai e Volodimyr Zelensky un ostacolo alla pace, e Antonio Tajani, che, come il Ppe, di cui fa parte, guarda a Bruxelles come al motore primo della politica estera europea.
Evidente la difficoltà di Meloni che, di suo, deve fare i conti “anche” con una cultura politica e un partito allineati su posizioni trumpiane, nonostante il significativo percorso da lei compiuto, di cui il costante sostegno all’Ucraina e, da ultimo, il sì dell’Italia al Piano ReArmEu, in sede di Consiglio europeo, sono certamente due risultati di tutto rilievo. Ma oggi andare oltre e, dunque, arrivare alla coalizione dei volenterosi di Macron e Starmer appare difficile.
Di segno opposto, per molteplici versi, è il cammino della leader del Nazareno. Perché, se c’era un punto fermo nella constituency prima dell’Ulivo e poi del Pd, questo era rappresentato dall’ancoraggio strategico all’Europa, a Bruxelles e al socialismo continentale. Ebbene, in men che non si dica, Schlein ha di fatto archiviato un pezzo del Dna di quel partito per andare verso una indistinta e irenica posizione movimentista e pacifista. Anche a costo di una doppia, rilevante rottura che, per quanto possa essere dissimulata, resta visibilissima: sia con tutti gli altri partiti socialisti e socialdemocratici europei sia con padri nobili come Romano Prodi e Pierluigi Castagnetti. Per non dire della distanza ideale e politica che si registra con il Presidente Sergio Mattarella.
Il risultato complessivo di queste ambiguità è, in ogni caso, quello di un Paese che si defila di fronte a un tornante della storia. Una condizione di equivocità che solo grazie al ruolo determinato del Capo dello Stato finiremo, forse, per non pagare al tavolo del futuro assetto del mondo.