In un’arena pubblica che impone continuamente di schierarsi, ciò che sta accadendo nelle ultime ore in Russia ci costringe di fronte a questioni che restano strette in un vicolo cieco: in cosa dobbiamo sperare? Per chi dobbiamo tifare? Per il mercenario senza scrupoli Prigozhin, che di Putin fu il cuoco - così veniva chiamato - e poi il macellaio?
Sembra un paradosso, non lo è: invece è carne viva, che chiama domande a cui è ancora impossibile trovare risposte plausibili, o moralmente rassicuranti. Dobbiamo essere felici dell’indebolimento del dittatore? Possiamo realisticamente sperare che quello che sta accadendo ai confini di Mosca segni una fine anticipata del conflitto, a favore dell’Ucraina? O al contrario l’instabilità russa può rappresentare un ulteriore elemento di pericolo per tutto l’Occidente e per questa nuova guerra fredda che sta scuotendo il mondo?
Le notizie sono ancora troppo confuse per azzardare previsioni. E non a caso l’Europa e la Nato stanno alla finestra. In attesa. Mentre si cerca di capire fino a che punto sia davvero disposto a spingersi Prigozhin, mentre si cerca di capire come l’esercito russo - ma soprattutto i servizi segreti, soprattutto l’élite economica e politica russa - reagirà alla minaccia del colpo di stato, è possibile individuare almeno i punti deboli di quello che avevamo e di quello che evidentemente non avevamo capito: su Putin, sulla Russia, sulla guerra in Ucraina e su Prigozhin stesso, personaggio fino a quarantott’ore fa comprimario sulla scena internazionale, quasi sconosciuto al grande pubblico.
Non avevamo capito quanto fosse evidente la debolezza dello zar. Non avevamo capito quanto la sua posizione - nei confronti del popolo russo come dell’establishment - fosse già compromessa e quanto il suo potere fosse minato dall’interno dagli stessi oligarchi a cui lui si è pericolosamente affidato. Non avevamo neppure capito quanto la guerra d’invasione in Ucraina avesse già da tempo logorato il suo esercito, il suo potere, la sua stabilità. Così se anche Prigozhin, come ha annunciato, dovesse davvero fermare l’avanzata delle sue truppe per “non spargere sangue russo”, quello che è accaduto nelle ultime 48 ore segna un prima e un dopo da cui non si potrà tornare indietro. A conti fatti oggi almeno una certezza l’abbiamo, ed è di quelle amare: da ora in poi dovremo, in questa guerra, contare una vittima in più: non solo il popolo ucraino, ma anche il popolo russo.