Abbiamo capito che la terra promessa degli annunci elettorali non funziona più, né per chi li fa né per chi li riceve. E abbiamo capito che la prudenza e il pallore di questa campagna balneare – la prima nella storia della Repubblica – sono figli delle grandi incertezze di una fase storica ancora priva di soluzioni, di risposte, di visioni. Abbiamo infine capito che in un sistema di partiti in cui tutti prima o poi hanno già governato con tutti, denigrarsi (troppo) a vicenda sarebbe stato, se non poco credibile, di sicuro controproducente. Il risultato è che questi sessanta giorni che hanno diviso la fine del governo Draghi dal voto di oggi, ci consegnano l’immagine di una campagna elettorale fiacca.
Una campagna che non ha saputo – o non ha voluto – offrire agli italiani una reale speranza per il Paese. Risucchiati dall’angoscia dell’oggi – guerra, pandemia, crisi climatiche, energetiche, economiche – i partiti non sono riusciti a parlare davvero di futuro. È una colpa? Solo in parte. La nostra impasse è figlia di un male globale di cui tutti paghiamo le conseguenze.
Mi hanno molto colpito le parole del segretario dell’Onu, Antonio Guterres, mercoledì. Sui media le abbiamo considerate poco, eppure per durezza e preoccupazione non hanno forse precedenti, nel Palazzo di Vetro. Ha detto: "Il nostro mondo è in pericolo e paralizzato. Abbiamo il dovere di agire, eppure siamo bloccati in una colossale disfunzione globale. La comunità internazionale non è pronta o disposta ad affrontare le grandi sfide drammatiche della nostra epoca. Siamo in un mare agitato, un inverno di malcontento globale è all’orizzonte".
E allora, come potremo affrontare questo inverno che ci attende, noi dalla nostra piccola Italia? L’unica risposta che mi viene in mente oggi è questa: con l’onestà delle competenze. Che hanno un perimetro definito, e dunque anche umile, ma necessariamente concreto. Così, qualunque sarà il colore del prossimo governo, diventeranno indispensabili la qualità, l’autorevolezza e la serietà dei suoi ministri. La campagna elettorale ci ha mostrato che è finito il tempo delle promesse, ma non è più derogabile né rimandabile quello dello spessore, dell’etica, della responsabilità. Non ci salverà l’ideologia, ma ci salveranno la coerenza, la saldezza e la linearità delle nostre decisioni. In patria come nei consessi internazionali. Questa è la lezione degli ultimi sessanta giorni. L’unica cosa da non dimenticare per riconquistarci il futuro.