Mercoledì 20 Novembre 2024
ANTONELLA COPPARI
Editoriale e Commento

La sanità resta un rebus. Guerra di numeri Meloni-Schlein. Giorgetti: aiutiamo i poveri cristi

L’opposizione attacca sulle risorse. Malumori di Lega e Forza Italia per le misure bandiera escluse. Il vertice della premier coi vice a Bruxelles per scongiurare la bocciatura di Fitto alla Commissione.

La sanità resta un rebus. Guerra di numeri Meloni-Schlein. Giorgetti: aiutiamo i poveri cristi

Il vertice tra la presidente del Consiglio Giorgia Meloni e i due vice premier Antonio Tajani e Matteo Salvini a Bruxelles

Roma, 18 ottobre 2024 – È il record storico, no è il minimo storico. Meloni e Schlein 48 ore dopo il varo della manovra incrociano le lame soprattutto sulla sanità. Nella rissa si intromette anche Giuseppe Conte: "La premier racconta solo frottole". Giorgia snocciola miliardi: "Più 6,4 in due anni. Record della storia d’Italia per il fondo sanitario nazionale: 136,48 miliardi nel 2025 e +4,6 nel 2026. Questi sono i numeri, il resto sono mistificazioni". La segretaria del Pd replica con le tabelle: "La spesa sanitaria, che in tutto il mondo si calcola sul pil, è al 6,3 6,4 e 6,2 per i prossimi tre anni. È il minimo storico degli ultimi 15 anni". Non è un inedito: scontro analogo andò in scena dopo la finanziaria dell’anno scorso. Medici e personale sanitario, però, concordano molto più con la democratica che con la sorella d’Italia: "860 milioni in più nel 2025" sono troppo pochi, sottolinea Nino Cartabellotta (Gimbe). Ma il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, rivendica le scelte: "A questa manovra si può contestare qualsiasi cosa, ma non che vada contro i poveri Cristi".

Nessuna lamentela per il capitolo sanità invece nella maggioranza, dove pure ci sarebbe qualche malumore secondo voci rese tempestose dal vertice notturno nell’hotel Amigo di Bruxelles tra la premier, i suoi due vice e Raffaele Fitto. Antonio Tajani, diplomatico di lungo corso, riesce facilmente a disinnescare l’ordigno senza negare l’ambizione di rimettere mano alla legge di bilancio, certo non ora che il Mef sta riempiendo di contenuti le tabelle, ma in Parlamento con gli emendamenti previo beneplacito della coppia di testa dell’economia: Meloni e Giorgetti. "La manovra è chiusa, se il concordato preventivo porterà buoni risultati si potrà migliorare. Penso alle aliquote Irpef che si possono ridurre dal 35 al 33% e allargare la piattaforma magliari fino a 60mila euro". L’abbassamento dell’Irpef era uno dei due obiettivi principali – l’altro è l’ aumento delle pensioni minime – e almeno per ora entrambi falliti del partito azzurro. Anche la Lega ha al passivo due battaglie perse: su quota 41 e sulla flat tax portata da 85 a 100mila euro.

Va da sé che pure Matteo Salvini guarda ai proventi eventuali del concordato per segnare il punto almeno sulla flat tax. Ma non è facile che Meloni e Giorgetti, dopo aver portato a termine una manovra come volevano loro, riaprano le danze con il rischio di un nuovo scontro Lega-Forza Italia. Non che escludano qualsiasi modifica, ma "senza apportare cambiamenti di peso", per dirla con ambienti governativi. Insomma, interventi decisamente non epocali come per esempio quello sulla sugar tax che figura al secondo posto nell’agenda delle priorità forziste. Certo: Tajani e Salvini non possono lamentarsi allo stesso modo. Il leader azzurro ha vinto facendo da scudo alle banche e lo rivendica a voce altissima: "Imporre una tassa dall’alto sarebbe stato un grave errore, perché avrebbe spaventato gli investitori e avrebbe spaventato i mercati". Capita che a voler spaventare investitori e mercati con un intervento su Ires e Irap contro le banche fosse proprio Matteo Salvini.

Eppure, l’altra notte i quattro amici al bar nella capitale del Belgio hanno parlato soprattutto d’altro. Per la precisione dei rischi che corre il commissario Fitto nell’audizione del 12 novembre. Socialisti e liberali sarebbero intenzionati a sgambettarlo e per l’immagine del governo sarebbe un vero e proprio disastro. Martedì in Aula la premier ha cercato di imporre alla segretaria del Pd un intervento deciso a favore del commissario italiano con i compagni di euro-gruppo, niente da fare. Elly è sgusciata via senza prendere impegni. Il compito di giocare duro se lo assume, dopo aver fatto le ore piccole con i compagni di governo, Tajani: "Se i socialisti non vogliono sostenere Fitto, perdono il consenso del Ppe". A ciascuno il suo, insomma.

Per dribblare gli ostacoli che si preparano a piazzare socialisti e Renew nell’audizione, Fitto dovrà sbandierare un europeismo a prova di bomba. Posizione che i sovranisti difficilmente apprezzeranno. Resta il fatto che – dopo la riunione del gruppo da lui inventato a Bruxelles – il premier ungherese Viktor Orban promette: "Voteremo per Fitto, è uomo eccellente e perfetto per questo lavoro in Europa".