L’annuncite, malattia senile di una politica esautorata dalla globalizzazione e perciò in sistematica crisi di credibilità, è il morbo che ormai affligge ogni leadership. In Italia e all’estero. Un morbo che non risparmia neanche la dimensione più alta e nobile del gioco politico: la politica estera. Non ne è esente il piccolo, grande Emmanuel Macron. Nient’affatto europeista, nonostante la messinscena della marcia trionfale verso l’Eliseo nel giorno della vittoria elettorale accompagnata dalle banali note dell’Inno alla gioia, il giovane Macron ha inscenato il vertice tra Sarraj e Haftar non a Bruxelles ma a Parigi e lì ha solennemente annunciato l’avvio di una nuova era all’insegna della fraternità libica. Già che c’era ha annunciato anche il prossimo insediamento di hotspot francesi in Cirenaica. Due balle colossali, smentite dai fatti nell’arco di ventiquattr’ore appena.
Due balle cui l’Italia, volendo ribattere colpo su colpo, ha reagito annunciando una massiccia operazione di pattugliamento delle acque territoriali libiche non dissimile da quel blocco navale attuato dal governo Prodi quando l’emergenza in materia di immigrazione era l’Albania e non la Libia. Altra bugia dalle gambe corte, altra repentina smentita. Altro film già visto. Era il 3 febbraio scorso quando il premier Paolo Gentiloni annunciò alla nazione che l’accordo appena sottoscritto col primo ministro libico Sarraj avrebbe determinato il blocco delle partenze dei migranti dalla Libia. Una bubbola. Un’altra, cogente, smentita. Come quando l’allora premier Matteo Renzi rivendicò per l’Italia il comando delle operazioni internazionali in Libia, e persino di quelle in Siria. Poi gli fecero osservare che così facendo l’Italia si esponeva al rischio di rappresaglie terroristiche e, considerando che siamo il Paese delle mamme, del melodramma e del piagnisteo, Renzi tosto abdicò a quel rischioso ruolo di guida. Ruolo cui oggi sembra ambire la Francia del nazionalista Macron. Di bluff in bluff, però, le opinioni pubbliche si disamorano; si disamorano e s’arrabbiano. E più i leader perdono quota nei sondaggi più si sentono obbligati a bluffare. Un circolo vizioso che avvelena i pozzi della politica e induce i capi a spararla sempre più grossa nella convinzione che, tanto, nessuno ha più memoria di nulla e nulla venga ricordato più di quel che si è detto il giorno prima. Non è così. Nella memoria collettiva resta traccia di ogni annuncio e ogni, conseguente, smentita rappresenta un colpo di scure alla pianta della politica sui cui rami siamo in fin dei conti tutti noi appollaiati.
Osiamo, perciò, una modesta proposta a mo’ di antidoto al pericoloso morbo dell’annuncite acuta: e se i capi di Stato e di governo lasciassero parlare i fatti? Se lo stile del Potere cambiasse, cambierebbe anche l’approccio ansiogeno e naturalmente scettico dei media e la politica si riapproprierebbe di quei tempi medio-lunghi da cui in fondo dipende il discrimine tra bluff scoperto e meritato successo.