Mercoledì 28 Agosto 2024
PIERO S. GRAGLIA
Editoriale e Commento

Commissione europea, il bis ardito di von der Leyen: così la politica dell’"io" ha sfruttato le emergenze

La presidente ha personalizzato l’istituzione ma ha realizzato il suo programma. Gestendo la crisi pandemica ha eroso parte delle funzioni sovrane degli Stati

Piero S. Graglia

Piero S. Graglia

"Grazie a questo Parlamento, agli Stati membri e al mio gruppo di commissari, ho ottenuto più del 90% delle proposte politiche che ho presentato nel 2019". Così si esprimeva Ursula von der Leyen, presidente della Commissione esecutiva dell’Unione europea, durante il "discorso sullo stato dell’Unione europea" (SOTEU) pronunciato il 13 settembre 2023 di fronte al Parlamento europeo. Il quarto SOTEU del suo mandato e, in quel momento, l’ultimo, essendo ancora in forse la riconferma per un altro quadriennio dopo le elezioni europee del 2024. Ciò che colpisce l’attenzione in quella citazione non è tanto la rivendicazione dei risultati e del successo – una cosa comune a molti politici quando si è in fase di bilancio di un mandato – bensì la declinazione in prima persona della rivendicazione di tali successi: che "io" ho ottenuto – diceva von der Leyen – grazie al "mio" gruppo di commissari. Non è una cosa usuale per la Presidenza della Commissione personificare così la guida di un’istituzione che, per sua natura e origine, ha le caratteristiche di una istituzione collettiva e tecnica piuttosto che quelle di un palcoscenico per individualità politiche. Ursula von der Leyen in questo senso ha segnato un salto di qualità significativo, che prima di lei era riuscito forse solo a Jacques Delors. Del resto, il primo mandato della von der Leyen è stato caratterizzato da novità significative: prima di tutto la necessità di far fronte alla crisi pandemica, e poi l’atteggiamento nei confronti della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina.

Ursula von der Leyen
Ursula von der Leyen

È cosa ormai evidente che il processo di integrazione europea cresce soprattutto nei periodi di crisi. L’Unione è per sua natura una organizzazione nella quale i paesi membri sono riluttanti a cedere funzioni e sovranità; quando questo succede è quasi sempre a causa di condizionamenti esterni, di problemi che richiedono strumenti nuovi e inediti.

Se la guida della commissione – organo esecutivo, come dice anche il suo nome, alle dipendenze degli Stati membri – è intraprendente e reattiva, ogni crisi diventa occasione di erosione di funzioni "sovrane" degli stessi Stati. È successo tantissime volte, e lo abbiamo visto durante questa breve rassegna delle personalità dei presidenti della commissione: è successo con la creazione del sistema monetario europeo e la moneta unica; con l’indebolimento della leadership statunitense e il maggior coordinamento europeo in politica estera; con il passaggio dal mercato comune al mercato unico e le ripercussioni internazionali che questo ha prodotto; con la gestione della crisi pandemica tra il 2019 e il 2020.

In quest’ultimo caso, a noi vicino, per la prima volta l’Unione ha messo in piedi un sistema di redistribuzione degli aiuti che supera, per entità e significato, il sistema dei fondi europei: il Next Generation EU ha mostrato come l’Unione può far fronte a crisi sistemiche non solo raccogliendo risorse al suo interno, bensì emettendo anche "debito pubblico sovrano europeo" sui mercati. In questo processo il ruolo di Ursula von der Leyen è stato determinante, in stretto collegamento col Parlamento, per imporre ai governi europei soluzioni che senza il pungolo del tandem Commissione/Parlamento probabilmente non avrebbero mai accettato.

Da questo punto di vista la sua Presidenza ha rappresentato l’entrata nella maturità della Commissione europea, soprattutto a fronte di governi (tra i quali l’italiano) che a parole si dichiarano sovrani e indipendenti ma nei fatti, poi, si devono piegare alla realtà dell’interdipendenza. Meno brillante è stata la gestione della crisi tra Russia e Ucraina, e l’atteggiamento nei confronti della crisi mediorientale. In quel campo però, quello della politica estera e di difesa, la Commissione sconta due limiti: il primo è che non è chiaro quale sia il ruolo della Commissione stessa per quanto riguarda politica estera e difesa, materie strettamente sotto il controllo del Consiglio e quindi dei governi; il secondo è una diretta conseguenza del primo limite: l’Unione non ha ancora una politica estera vera e propria né tantomeno una difesa integrata, che ne sarebbe diretta conseguenza.

Un po’ fa tenerezza vedere quanti sperano che la Commissione sia più intraprendente in questo ambito senza considerare le pastoie che la legano; alla lunga questo investimento nei confronti della Commissione può diventare un’arma a doppio taglio e indebolirla ulteriormente, accusandola di mancanze che non sono sua responsabilità. Non c’è dubbio, peraltro, che data la personalità della presidente indebolire la Commissione sia un desiderio che attraversa molti governi europei.

Von der Leyen ha mostrato di saper usare bene l’arma politica dell’alleanza col Parlamento e, per citare Machiavelli, essere in grado di "forzare". La nuova commissione del 2024 ha quindi davanti a sé un doppio lavoro: gestire l’esistente, e provocare il cambiamento. Il “lavoro impossibile” forse non resterà tale ancora a lungo.

10- fine