Roma, 3 dicembre 2024 – Il dopo Tavares a Stellantis comincia con uno scivolone del titolo in Borsa a Milano, i timori degli analisti per l’incertezza in attesa del successore, le preoccupazioni dei sindacati italiani per l’occupazione e la pressochè unanime soddisfazione del mondo politico italiano per l’uscita del sempre poco apprezzato top manager portoghese dai modi ruvidi. Argomenti che staranno sull’agenda del nuovo ceo, ma che colgono solo in parte il senso della partita in corso. Tre fattori. Primo: Stellantis va guardato per quello che è. Un gruppo globale con un’anima italiana, statunitense e francese. Ha in grembo quattordici marchi, molti dei quali hanno fatto la storia dell’automobile. A pesare sui destini di Tavares sono state visioni diverse rispetto agli azionisti e i numeri. In particolare, quelli del mercato americano. Il gruppo ha confermato le stime, il resto è da scrivere. E questo potrebbe comportare interventi su brand, modelli, prezzi, linee e investimenti.
Secondo, l’automotive occidentale è in crisi. Sia per l’aggressiva politica di incentivi della Cina, sia per la guerra dei dazi destinata a inasprirsi con la presidenza Trump. Per l’Italia significa un impatto per un settore di grande rilevanza: la componentistica.
Terzo: l’Europa e la transizione green. Gli appelli a rivedere gli obiettivi 2035 si sprecano, quanto la pervicacia dell’esecutivo di Bruxelles. L’Acea, l’associazione europea dei costruttori guidata fino a fine anno dall’italiano, ex Fiat e ora ceo di Renault, Luca de Meo – uno dei nomi che risuona per il dopo Tavares –, ha scosso tanti campanelli d’allarme e ha apprezzato il capitolo automotive del rapporto Draghi sulla competitività. Dove c’è scritto: “Il settore automobilistico è un esempio chiave della mancanza di pianificazione dell’Unione e dell’applicazione di una politica climatica senza quella industriale”. Che il futuro sia elettrico, termico o di neutralità tecnologica, la partita è tutta qui.