Giovedì 16 Gennaio 2025
TOMMASO GUERINI*
Editoriale e Commento

Il diritto non è vendetta legalizzata

Guerini * È giusto commentare le sentenze, soprattutto se hanno ad oggetto reati che hanno provocato disorientamento e lacerazione nel corpo...

Il medico Giampaolo Amato in tribunale

Il medico Giampaolo Amato in tribunale

È giusto commentare le sentenze, soprattutto se hanno ad oggetto reati che hanno provocato disorientamento e lacerazione nel corpo sociale. Per esercitare correttamente questa forma di diritto di critica, sarebbe però necessario quantomeno leggere per intero il provvedimento che si vuole stigmatizzare. Altrimenti, anziché contribuire alla libera circolazione delle idee, si finisce soltanto per generare confusione, contribuendo ad alimentare la polarizzazione che da tempo affligge il dibattito sulla giustizia penale.

Accade che la Corte d’Assise di Modena, nel giudicare un settantenne reo confesso di aver ucciso la moglie e la di lei figlia, ritenga le circostanze attenuanti generiche equivalenti alle aggravanti. Ciò non comporta l’assoluzione dell’imputato, condannato a 30 anni di reclusione e destinato a finire i suoi giorni in carcere, ma l’applicazione della pena immediatamente inferiore a quella dell’ergastolo.

Nel motivare questa scelta, menzionano "la comprensibilità umana dei motivi che hanno spinto l’autore a commettere il fatto reato". È stata sufficiente questa sola frase, inserita in una robusta motivazione di oltre 200 pagine, nelle quali viene ricostruita la progressiva dissoluzione di un nucleo familiare devastato da conflitti sempre più intensi, a innescare le critiche feroci di commentatori che, per loro stessa ammissione, non hanno ritenuto necessario o quantomeno opportuno cimentarsi nella lettura integrale del testo. È una vicenda che ci dice molto dell’epoca in cui viviamo. Al rifiuto delle competenze, si accompagna una rabbia sempre più feroce e il diritto penale non è più inteso come limite alla pretesa punitiva dello Stato, che si suppone proporzionata alla gravità del fatto, ma come mero strumento di vendetta legalizzata. Con buona pace di quel principio di umanità che si vorrebbe contrapporre all’utilizzo degli algoritmi predittivi nell’ambito della giustizia penale. Se l’esito di un processo penale deve essere sempre e comunque la condanna dell’imputato alla pena più grave prevista dall’ordinamento, tanto vale affidarlo all’Intelligenza Artificiale. Risparmieremmo tempo e denaro, ma perderemmo noi stessi.

*Professore di diritto penale e avvocato