Domenica 6 Ottobre 2024
AGNESE PINI
Editoriale e Commento

Ora si può dire: senza Londra non è Europa

Dopo 8 anni di Brexit, la vittoria del laburista Starmer sembra segnare la simbolica chiusura di un ciclo e il preludio di un riavvicinamento della Gran Bretagna all’Europa. Il possibile riavvicinamento potrebbe passare inizialmente dalla difesa comune

Otto anni ormai hanno la consistenza dei secoli. E tale è il tempo che sembra trascorso da quel 2016, vigilia di San Giovanni, in cui la Gran Bretagna scelse a maggioranza l’uscita dall’Ue: Brexit, nello sgomento generale, è stata lo spartiacque tra un prima e un dopo nel sogno vacillante dell’Unione Europea. In mezzo è accaduto di tutto: il trionfo di Trump, l’ascesa dei populismi, il declino delle sinistre, una pandemia, una guerra, il nuovo vento delle destre in un’Unione sempre più minacciata tanto al suo interno - nelle nuove tentazioni sovraniste - quanto nelle spinte esterne, con le ombre russe a Est e il trumpismo di ritorno a Ovest. Ci abbiamo rimesso tutti: Londra si è impoverita e Bruxelles si è impoverita, e non solo in termini strettamente economici.

Il nuovo primo ministro britannico Keir Starmer
Il nuovo primo ministro britannico Keir Starmer

Mi riferisco a quell’idealismo necessario a tenere alto il senso di un’Unione che anno dopo anno sembra smarrire la strada della sua originaria vocazione: essere inclusiva, attrattiva e aggregante non solo verso Est, ma anche per quei grandi Paesi che l’hanno sognata e immaginata prima ancora che fondata. Italia, Francia, Germania. Inghilterra. Ironia della sorte, come potete leggere in queste pagine, il primo a evocare un’idea di moneta unica fu proprio l’inglese Roy Jenkins, presidente della Commissione europea dal 1977 al 1981.

Ora, la vittoria del laburista moderato Starmer sembra segnare la simbolica chiusura di un ciclo, preludio di un riavvicinamento della vecchia Inghilterra alla vecchia Europa, o, per dirla spadolinianamente, una “Manica più stretta” (come quel “Tevere più largo” con cui Spadolini raccontava la distensione dei rapporti tra Italia e Santa Sede). Questo non avverrà in modo brutale, con proclami e referendum - il premier e tutto il suo partito sono stati molto chiari nel ribadirlo - ma per gradi necessari a intavolare una trattativa da cui tanto Londra quanto Bruxelles possano uscire rafforzate e non umiliate.

Bisogna però considerare due incognite: l’appuntamento elettorale francese e ancor più quello negli Usa. In base a chi vincerà e a chi perderà, capiremo più chiaramente se alla fine prevarranno le tentazioni isolazioniste su quelle all’apertura, all’integrazione, al riavvicinamento. Passaggi delicatissimi e necessari, non solo sotto il profilo finanziario, commerciale ed economico. Pensate alla difesa comune, e provate a immaginarla con e senza la collaborazione inglese. Ma più in generale, è chiaro che un sogno europeo senza Londra è un sogno dimezzato. E gli effetti si sono visti, in questi anni difficili. Otto anni che senza fare sconti a nessuno, e spesso in modo brutale, hanno dimostrato che non può esserci Europa senza Inghilterra, e non può esserci Inghilterra senza Europa. Chissà se la lezione è stata sufficientemente dura per non farci sbagliare più.