Prima di ragionare su chi entra, Fitto, ricordiamo come entrò chi sta uscendo, Gentiloni. Parliamo ovviamente della Commissione Europea e del commissario italiano all’interno di questa sorta di esecutivo continentale. E lo ricordiamo perché tra pochi giorni, l’11 settembre, la candidatura indicata dal nostro Governo inizia il suo cammino davanti all’apposita commissione del parlamento Ue.
Iter per nulla scontato, visto che 5 anni fa tre candidati (ungherese, rumeno e francese) furono bocciati senza appello. Anche Gentiloni (Pd) dovette guadagnarsi il via libera dopo tre ore di audizione martellante. Alla fine il consenso fu ampio perché oltre al sostegno del centro sinistra ebbe l’appoggio dei conservatori guidati proprio da Fitto, e di Forza Italia, presente lo stesso Berlusconi che si congratulò con il nominato: “Noi lo sosterremo in quanto italiano”.
E qui torniamo all’oggi. Al fatto che il commissario che andiamo a proporre non merita solo perché ha dimostrato capacità in tutta la sua carriera politica, e in particolare in questi due anni di gestione di un Pnrr che andava rimodulato e calato nella difficile realtà politico burocratica del Paese; non solo perché è un “democristiano”, definizione di volta in volta negativa come sinonimo di uomo per tutte le stagioni, o positiva, come in questo caso, di persona che sa conciliare esigenze diverse. Tutto vero. Ma perché Fitto, come ricordò Berlusconi per Gentiloni, e come si sottolinea anche nel centro sinistra (Casini, Renzi) sarà il commissario italiano. Di tutti. Non di Meloni o Tajani, Calenda o Schlein. I silenzi, i distinguo di queste ore, e peggio ancora i giochi contro, sgradevoli e minoritari, non colgono lo spessore di questa nomina. Volano bassi. Qui si vola alto. E fare il tifo, dare il voto, va oltre i giochini da retrobottega di Palazzo. Per gli italiani, tutti, diventa un dovere politico e istituzionale.