Senza una informazione libera "rischiamo di non distinguere più la verità dalla finzione e ci esponiamo a crescenti pregiudizi e polarizzazioni che distruggono i legami di convivenza civile". Ce lo ha ricordato ieri Papa Francesco, in occasione del Giubileo della comunicazione, con parole che entrano nella carne della storia che stiamo vivendo.
Proprio ieri Hamas, a Gaza, ha trasformato in uno show la liberazione delle quattro soldatesse israeliane dopo oltre 470 giorni di prigionia. Le ragazze hanno sfilato tra i miliziani, salutando e sorridendo, per salire tutte sul palco con i gadget finali. Se non fosse stato per i volti mascherati degli uomini di Hamas, le macerie e la consapevolezza del luogo dove avveniva la messinscena, la sceneggiatura rimandava all’uscita dalla casa del Grande Fratello.
Propaganda ovviamente, la stessa che accompagna da secoli tutti i conflitti, utilizzata anche da Israele nella guerra. La realtà è diversa però dalla sua rappresentazione politica e ce la raccontano i giornalisti sul campo. Quelli giunti nei kibbutz dopo il pogrom del 7 ottobre, quelli che hanno testimoniato i bombardamenti e le stragi commessi da Israele tra la popolazione civile di Gaza, quasi 50mila morti.
Fra le vittime ci sono decine di giornalisti, uccisi mentre lavoravano per garantire quell’informazione che ha un valore inestimabile. L’informazione libera ha giocato la sua parte anche in Ucraina, dopo l’invasione russa. Ha verificato e raccontato i massacri di Bucha e di altri territori occupati da Mosca. Cercando la verità oltre la nebbia alzata della propaganda e dalle “notizie” veicolate sui social governativi, diffuse da eserciti, mercenari, finti influencer. "La libertà di stampa sia difesa e salvaguardata", ha esortato ancora Francesco. Non solo sui campi di battaglia, ma ovunque. Per evitare che la propaganda distorca la realtà, generando nuovi conflitti.