Avvitato in una guerra senza respiro, dall’esito incerto e drammatico, Israele si scopre di giorno in giorno più solo. Mettiamo in fila i nuovi fronti aperti negli ultimi giorni: prima l’Onu, poi la Corte penale internazionale, infine tre Paesi europei da sempre amici, come Spagna, Irlanda e Norvegia. Sembra un tragico paradosso, eppure è cronaca: si allarga pericolosamente il perimetro dello scontro che il governo Netanyahu ha aperto nei confronti proprio di quegli organismi che sono da sempre fondamentali per garantire lo Stato ebraico. L’Onu, che ne ha sancito l’esistenza nel 1947, facendosene garante morale e istituzionale all’indomani delle atrocità del genocidio nazista. La Corte penale internazionale, la cui Procura, è vero, ha richiesto l’arresto di Netanyahu e del suo ministro degli Esteri, ma che resta l’unica a poter perseguire i crimini commessi da Hamas il 7 ottobre. Infine la vecchia Europa, imprescindibile per spegnere le fiamme del Medio Oriente attraverso la sola strada possibile: due popoli, due Stati, proprio come hanno ribadito nei giorni scorsi Spagna, Irlanda e Norvegia. Con la dolorosa consapevolezza che non si possa in alcun modo ignorare la carneficina di civili dentro la Striscia. È pur vero che le istituzioni internazionali – a cominciare proprio dall’Onu – ci appaiono a tratti logore e incapaci di incarnare lo spirito complesso di tempi sempre più restii a riconoscere la validità etica e storica del multilateralismo. Ma ancora oggi non possiamo farne a meno: non può farne a meno l’Europa, che proprio sulla base di quel principio di multilateralismo si è rifondata dopo le macerie della Seconda Guerra Mondiale. Non può farne a meno Israele, che da quello stesso principio è nata. Così la sua guerra al terrorismo non può prescindere dal rispettare gli umani diritti e le grandi istituzioni che sono ancora e malgrado tutto l’unico faro – sempre più pallido, mi rendo conto – delle nostre fragili democrazie.
Editoriale e CommentoDopo gli strappi Netanyahu sempre più solo