Perché come i bar, i ristoranti e i parrucchieri non riapre anche la scuola? Eppure è "qualcosa di appena più importante e incisiva di una messa in piega o di un cappuccino", come si legge nelle ultime righe di un appello ospitato ieri dalla Stampa e firmato da Massimo Cacciari e altri quindici intellettuali. I quali spiegano che le lezioni "in presenza", cioè con alunni e insegnanti fisicamente presenti in classe, sono meglio di quelle "in remoto", cioè online, su tablet e computer. Un concetto incontestabile, come è incontestabile che la pace sia meglio che la guerra, la salute meglio che la malattia, il benessere meglio che la miseria.
Non mi permetterei mai di gettare in ridicolo un testo firmato da intellettuali e ospitato da un grande e prestigioso giornale. Ma mi permetto invece di sospettare che questo appello sia una delle tante manifestazioni di principio - nobilissime - che in questo periodo sono state sollevate senza fare i conti con la realtà. Cacciari e gli altri intellettuali dicono infatti di temere "una definitiva e irreversibile liquidazione della scuola nella sua configurazione tradizionale", ma non fanno cenno a progetti definitivi in questo senso, che infatti (almeno per il momento) non esistono. Fanno invece esplicito riferimento a questa "fase 2", ricordano che "quasi tutti i Paesi europei, in prima fila i nostri competitors sul piano economico, hanno già riaperto (o stanno riaprendo) le scuole", esprimono poi preoccupazioni per l’inizio del prossimo anno scolastico, cioè il periodo in cui si teme la seconda ondata. Molti altri la pensano come loro: riaprire le scuole, subito.
Ma se il principio (appunto) è sacrosanto, la realtà è un’altra. Fra tante cose incerte su questa epidemia, una è solidamente attestata: e cioè che, fra tutte le chiusure, quella delle scuole è stata la più importante per fermare il contagio. I bambini e i ragazzi sono asintomatici e avrebbero portato il virus nelle loro famiglie, con un effetto esponenziale. Infatti, la chiusura delle scuole è stato il primo provvedimento di tutti i governi. Alcuni riaprono, è vero. Ma in Italia, a due-tre settimane dalla fine dell’anno scolastico, che senso avrebbe rischiare? Con venti-trenta alunni chiusi in un’aula?
Così come il decreto "iorestoacasa" ha certamente comportato una limitazione delle libertà individuali, anche le lezioni online sono, se vogliamo utilizzare questo termine, "un danno". Ma un danno inevitabile e temporaneo per scongiurarne altri, ben più gravi. Questa è la realtà, e a volte è bene che la realtà si imponga sugli ideali.