Martedì 16 Luglio 2024
AGNESE PINI
Editoriale e Commento

Cosa insegna il caso Biden sulla democrazia

A mettere all’angolo Biden e a inchiodarlo a quella che per i più è una condizione psicofisica “non idonea” a guidare gli Usa, non sono stati i suoi amici Democratici, non è stato il suo avversario Trump, non sono stati i familiari e neppure i sodali o gli alleati di governo. Sono stati, invece, i mezzi di informazione

Joe Biden

Joe Biden

Mentre gli amici più amici di sempre scaricano Biden, mentre perfino Obama e Pelosi si smarcano dal vecchio Joe - «con lui si perde catastroficamente», avrebbero detto secondo la Cnn - è giunto il momento di chiedersi che cosa abbia innescato la probabile (ingloriosa) fine dell’uomo che attualmente presidia la poltrona più ingombrante del globo. E che non ha alcuna intenzione di dimettersi, malgrado l’età, le défaillance fisiche e psicologiche, i lapsus e le gaffe che ne hanno ormai fatto una caricatura.

Ebbene, a mettere all’angolo Biden e a inchiodarlo a quella che per i più è una condizione psicofisica “non idonea” a guidare gli Usa, non sono stati i suoi amici Democratici, non è stato il suo avversario Trump, non sono stati i familiari e neppure i sodali o gli alleati di governo.

Sono stati, invece, i mezzi di informazione. Ed è bene ribadirlo, perché è questo il nodo centrale attorno a cui ruotano le sorti del Paese che ha in mano il destino dell’Occidente. E perché tutto questo sta succedendo, non a caso, nella più grande democrazia del mondo. Dove dunque l’informazione può rivestire a pieno titolo il sacrosanto ruolo di critica, di denuncia, ma anche di guida rispetto alle derive, o alle devianze, del potere. Lo fa, come deve, indipendentemente dalle simpatie politiche, dalle appartenenze, dalle familiarità, dalle tradizioni di provenienza delle singole testate – tv, carta, digitale – che hanno contribuito a creare una massa critica ormai dirompente contro il presidente in carica.

Rimettiamo insieme i pezzi: la caduta di Biden è iniziata nella notte tra il 27 e il 28 giugno scorsi, durante il confronto televisivo della Cnn moderato da un giornalista che, tra l’altro, in patria è stato accusato di eccessiva “morbidezza” nei confronti dei due candidati-contendenti Biden e Trump. È proseguita con l’affondo di due editoriali consecutivi del New York Times – tradizionalmente vicino ai Democratici – e poi del Washington Post. Sta continuando – e fino a quando andrà avanti? – puntualmente in ogni conferenza stampa in cui Biden sia chiamato a parlare, e cioè: in ogni evento pubblico in cui di fronte al presidente ci sia la mediazione dei giornalisti.

Ricordiamolo anche in patria, ricordiamolo anche quando qualcuno brinda al de profundis del giornalismo: è questa la straordinaria forza dell’informazione libera, arbitro trasparente soprattutto nell’era algoritmica dei social network. Tanto più utile al mondo intero in un momento in cui dal destino della democrazia statunitense dipende il destino di tutte le altre. Comprese quelle della vecchia Europa.