Sabato 16 Novembre 2024
ANDREA CANGINI
Editoriale e Commento

L'ultima goccia

La polemica sul canone Rai è servita almeno ad eclissare la polemica sui sacchetti di plastica. Fatto sta che sempre di tasse, imposte e balzelli si discute. Siamo in campagna elettorale, parlare delle tasche degli italiani alludendo alla possibilità che vi rimanga qualche spicciolo in più è operazione ovviamente popolare. Popolare soprattutto perché di tasse gli italiani rischiano di morire. Oltre il 60% dei ricavi (total tax rate) di chi decide di avviare una qualche forma di impresa economica finisce, ad esempio, nelle casse pubbliche. Quanto alle tasse da lavoro dipendente, siamo al quinto posto tra i paesi più tassati del mondo. Per un lavoratore single senza figli, il cuneo fiscale da noi ammonta al 47,8% dello stipendio, a fronte di una media europea che si attesa attorno al 36% e che quasi sempre presuppone servizi migliori per i cittadini. È per questo che sarebbe un errore sottovalutare le polemiche sui sacchetti di plastica. La questione è nota. L’Europa ha chiesto ai paesi membri di scoraggiare l’uso di imballaggi plastici per ragioni ambientali.

Con raro zelo, l’Italia ha disposto che dal primo gennaio 2018 i sacchetti di plastica biodegradabile (che poi, a quanto pare, sono degradabili fino a un certo punto) con cui pesiamo frutta e verdura nei supermercati vadano fatti obbligatoriamente pagare. Parliamo di costi che oscillano tra 0,1 e 0,3 centesimi di euro a sacchetto. Le associazioni dei consumatori stimano attorno ai 10-15 euro all’anno l’aggravio per ciascun nucleo familiare. Non esattamente un salasso. Eppure, almeno a giudicare dai social, la questione pare aver suscitato un’inedita ondata di indignazione popolare. Il popolo esagera? No, il popolo è sotto pressione. Sotto un’eccessiva pressione fiscale e, a torto o a ragione, è tendenzialmente convinto di non essere adeguatamente rappresentato in parlamento. Giova, a tal proposito, ricordare che la rivoluzione americana cominciò con l’obiettivo di contrastare una tassa sul tè imposta dal governo britannico per favorire i commerci della Compagnia delle Indie. I coloni americani avrebbero potuto bere meno tè e in ogni caso avrebbero potuto sopportare i costi di quella tassa. Invece si ribellarono al grido di «niente tasse senza un’adeguata rappresentanza parlamentare».

Capita spesso, nelle vicende storiche. Capita che reazioni esorbitanti siano riconducibili a modesti inneschi. E quando non li si considera al pari di un’ultima goccia, si corre il rischio di non capire quel che è davvero accaduto. L’insofferenza degli italiani rispetto al pur modesto balzello sui sacchetti di plastica sembra tanto la goccia che fa tracimare il vaso. Va perciò capita. E giustificata. Un drastico abbattimento delle tasse in Italia viene paventato da decenni. Invano. Vuoi vedere che grazie al precedente del vituperato Trump, che ha appena disposto il taglio di 1.400 miliardi di dollari dalle entrate fiscali americane, si passerà prima o poi anche da noi dal dire al fare? La flat tax non è necessariamente iniqua e antiprogressiva. Tutto dipende da come la si modula. Normale che se ne parli in campagna elettorale, straordinario se ne parlasse anche dopo.